Come funziona, in pratica, uno Sportello Anti-violenza

Superiamo i controlli, saliamo le scale, imbocchiamo un corridoio, vediamo le solite panche di legno di tutti i Tribunali (con le solite persone che aspettano di dare o ricevere spiegazioni da un giudice), poi una porta blindata si apre sulla sinistra e dentro c’è un armadio altrettanto blindato. Siamo arrivati, queste sono le due stanze in cui c’è Co.Tu. Le. Vi (Contro tutte le violenze), l’associazione che gestisce tanti sportelli anti-violenza in quattro province siciliane (Trapani, Palermo, Messina e Agrigento). A gestire tutta questa rete c’è Aurora Ranno, 65 anni, una laurea in giurisprudenza, anni e anni di volontariato vincenziano, per 7 anni nella Commissione Pari Opportunità del Comune di Trapani, energicissima signora della buona borghesia che nel 2008 ha aperto il primo Sportello anti-violenza -quello in cui ci troviamo- e che oggi ne ha messi su la bellezza di 32.

La prima cosa che capiamo è che non abbiamo capito la differenza tra Sportello e Centro: “E’ questa: il Centro ha un collegamento col  1522, il numero gratuito che 24 ore su 24 accoglie le richieste di aiuto delle vittime di violenza e stalking. Qui a Trapani lo diventeremo tra non molto. E’ stato complicato, ma ce l’abbiamo fatta“, risponde la Ranno. Tutti ospitati da Tribunali, come qui? “No, questa è un’eccezione, sono tutti ospitati dai Comuni. Questo stesso Sportello nacque grazie al Comune. A Palermo ce ne sarà uno in un edificio confiscato alla mafia“. Ed ecco cosa succede in queste stanze: succede che vengono o telefonano persone che hanno problemi seri, molto seri. Donne che subiscono violenze, ma anche uomini che subiscono la violenza delle loro partner. C’è chi sa che un anziano, nella casa di fronte, viene picchiato dalle sue badanti. C’è quella donna che si è messa in casa un uomo violento, che ha preso a pestare lei e suo figlio minorenne. C’è chi ci mette il nome e chi vuole restare anonimo. Ok, arrivano qui, e poi?

“La differenza con l’andare direttamente dai carabinieri, dalla polizia, o anche solo al piano di sopra, in Procura, è che con noi l’approccio è più morbido: noi siamo la mediazione con le istituzioni. Chi viene qui si sente più a suo agio nel raccontare e denunciare quello che gli succede. Qui incontrano i nostri volontari: la psicologa, la criminologa, l’avvocato. Spiegano quello che è successo e cominciano gli incontri. Certe volte il caso è così urgente che, una volta raccolta la denuncia, bisogna correre al piano di sopra e attivare subito la magistratura”. Spesso, invece, occorrono più incontri: non è facile aprirsi, non è facile raccontare, non è facile piangere, non è facile nemmeno capire subito se chi sta di fronte alle operatrici dice la verità oppure no. Le false denunce esistono, eccome se esistono. Occorre fare un filtro, insomma. “La prima cosa è dare sostegno morale a chi arriva. All’inizio facevamo solo quello, facevamo ascolto. Poi siamo cresciuti e oggi abbiamo un’attività forte nelle scuole, facciamo tanti progetti nelle scuole”. Ma tutto questo con quali soldi va avanti? Con la forza delle donazioni e delle buone relazioni. Qui le cose non funzionano col marketing, i siti e i social. Co.Tu.Le.Vi ha 11 giudici e 12 avvocati tra i soci fondatori: la Ranno ha saputo coinvolgere quelli che contano nel suo progetto ed i risultati si vedono. L’ospitalità dei Comuni, i pc donati magari da una banca, le raccolte fondi mantengono in vita una rete di Sportelli che sta per espandersi fino a Roma. E poi c’è il preziosissimo apporto del volontariato: provate a immaginare quanti sono gli esperti coinvolti, visto che ogni Sportello ha dai 4 agli 8 volontari. Quello in cui siamo oggi, per dire, è aperto lunedì-venerdì, dalle 9 alle 12. Un impegno enorme.

Qualche cifra: dal 2009 al 2017 il 90% dell’ utenza è stata costituita da italiani, di cui il 41% dai 18 ai 40 anni e il 45% dai 41 ai 60. A dimostrazione che la violenza non ha genere, sui 34 utenti del 2017, c’erano 28 femmine e 6 maschi. Ma le storie che sono passate da queste stanze, da queste pareti bianche con i loro calendari, coi loro grafici, non finiscono qui. “Alle volte ci vogliono tanti incontri prima che una donna si decida a denunciare. Oppure può darsi che alla fine non denunci affatto, magari ha solo bisogno di assistenza legale, di informazioni. O di essere ascoltata. Magari non ha mai voluto denunciare: voleva solo che qualcuno parlasse con lei“.  Sì, succede anche questo.

di Fabio Sanvitale