Emanuela Orlandi: fu un sequestro annunciato. Il nuovo teste è un depistaggio?

emanuela orlandidi Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it

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06 maggio 2013

(LEGGI QUI LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA A PIETRO ORLANDI) La scomparsa di Emanuela Orlandi fu il risultato di un piano preparato in anticipo. E anche di molto. Così come il ritrovamento del flauto, lo scorso aprile. Pietro Orlandi, il fratello che si sta battendo con tutte le sue forze per la verità, ci spiega perché: “nel 1982, un anno prima, i Servizi avvisarono la Santa Sede di temere rapimenti di cittadini vaticani. D’altronde Emanuela veniva seguita, pochi giorni prima di sparire. In via dei Corridori, mentre era con le amiche, si era accostata una macchina piccola, con due persone a bordo. Quello che stava al posto del passeggero aveva toccato Emanuela ad un braccio dicendo: ‘sì, è questa’ e poi erano andati via”.

Anche il ritrovamento del flauto sembra stare tutto in questa logica: sarà un caso che è avvenuto poco dopo l’elezione di Papa Bergoglio? Seguiteci. La Chiesa elegge un Papa riformatore, che potrebbe contribuire alla verità sul caso Orlandi; poco dopo salta fuori un teste, Marco Fassoni Accetti, che dice di essere stato “il regista” del sequestro e fa ritrovare, forse, il flauto di Emanuela; e dice che fu lei a volersene andare da casa. Ora, se è così, non è il Vaticano ad avere colpe. Sembra proprio una mossa per allontanare i sospetti dalla Chiesa: proprio quando c’è più rischio, col nuovo Papa, che la verità venga a galla. E, per rendere credibile questa pista, si fa ritrovare il flauto. Sperando che i giudici abbiano l’anello al naso ed abbocchino…

Ma restiamo sull’organizzazione che fu dietro il sequestro, evidente già dalle telefonate che si succedettero da subito. All’inizio chiamano due uomini con l’accento romano, Pierluigi e Mario. Apparentemente non sanno nulla, tanto che parlano di una “Barbarella” che avrebbero incontrato a Campo dè Fiori. “In realtà stanno parlando assolutamente di Emanuela. – afferma Pietro – Sapevano cose precise di lei, dell’astigmatismo, che doveva suonare al matrimonio della sorella…dicevano che se ne era andata per i fatti suoi”.

Poi chiama il cosiddetto “Americano”, facendo chiaramente riferimento a Pierluigi e Mario come ai due primi emissari. Successivamente, l’“americano” chiamerà direttamente in Vaticano, per trattare senza che altri si mettano in mezzo. Stabilisce un codice preciso con la Santa Sede: chiamava il centralino, dice “mi dia il 158” egli passano subito il Cardinal Casaroli, Segretario di Stato. “Il che vuol dire – dice Pietro – che doveva aver dato prova di avere Emanuela, altrimenti non gli avrebbero creato un accesso privilegiato alla Segreteria di Stato. Non è che il Vaticano lo consente così, a chiunque chiama”. Ma il contenuto di quelle telefonate non è mai stato rivelato. Perché?

La Santa Sede ha sempre negato di sapere di più di questa storia. Sentite qui, invece. Nel 1993 viene interrogato un funzionario della gendarmeria vaticana. Si chiama Raul Bonarelli. Prima di andare in Procura, Bonarelli chiama il suo capo, chiedendo cosa deve dire il giorno dopo. Gli rispondono: nulla, soprattutto che abbiamo indagato sulla Orlandi e che c’è un fascicolo in Segreteria di Stato. “Sono cose che sappiamo perché l’uomo era intercettato –spiega Pietro- ma il Vaticano ha sempre negato quell’indagine. Di più: subito dopo, a Bonarelli,venne data la cittadinanza vaticana, cosi non potè più essere interrogato senza rogatoria internazionale. E sappiamo bene che la Santa Sede ha sempre respinto le richieste di rogatoria italiane”.

La cosa più probabile, dopo tutto questo, è che il regista-fotografo-sosia di Benigni-sequestratore Fassoni Accetti, in realtà, non sappia nulla, che stia facendo un piacere a chi ha interesse a tenere il Vaticano fuori da questa storia. Che del rapimento sappia le stesse cose che si possono sapere leggendo i giornali. Se l’ipotesi diventa quella di un depistaggio, dunque, potremmo dire che Fassoni Accetti è stato scelto perché sembra credibile come regista di una “trama oscura” (le sue foto sono piene di preti, suore, matrimoni; mischiati a fantasmi, ombre, segni di morte). Qualcuno, in questo caso, gli avrebbe insegnato la storiellina da ripetere, gli avrebbe messo in mano il flauto dicendo: “Dai, va’ dai giudici”. D’altra parte, non sarebbe la prima volta che succede. Chi si ricorda di quel Roland Voller che si presentò come superteste del delitto di via Poma ed invece non sapeva nulla di nulla? Trovò un pm che gli andò dietro e fece perdere un sacco di tempo a tutti. E perché Fassoni Accetti si sarebbe prestato a tutto questo? Per avere visibilità, forse. Ma in questo momento la cosa che conta soprattutto chiedersi è: a chi potrebbe far comodo questo depistaggio?

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