La strage di via Caravaggio: le piste investigative (terza parte)

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di Daniele Spisso direzione@calasandra.it

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C’è n’è un’altra ancora e anche questa è stata ritenuta dall’autorità giudiziaria inspiegabilmente trascurata all’epoca del fatto. Riguarda Angela, la ragazza diciannovenne uccisa anche lei in via Caravaggio.

Nell’edificio dell’Inam presso il quale Angela lavorava da qualche anno come impiegata, in via Winspeare a Fuorigrotta (Napoli), prestava servizio un medico, il dottor Giuseppe De Laurentis. Il dottor De Laurentis conosceva Angela e suo padre Domenico da alcuni anni e per questo motivo fu sentito come testimone, dagli investigatori, all’indomani della scoperta della strage.

Il 2 ottobre 1975, per la prima volta, il dottor De Laurentis era stato in casa dei Santangelo, assieme alla moglie, per partecipare ad una festa di Angela. Dichiarò di aver sentito la ragazza l’ultima volta verso le ore 18:50 (in primo momento, asserì 19:30) del 29 ottobre (la sera della strage): quella mattina, infatti, Angela si era sentita poco bene sul posto di lavoro (qualche linea di febbre) e si era fatta dare un permesso per rincasare prima. Nel corso della giornata era stata visitata in casa da un collega del dottor De Laurentis, il dottor Della Corte. Poi, verso la serata, si era sentita al telefono con il De Laurentis per chiedergli consigli su come proseguire le cure per rimettersi dallo stato influenzale.

Il dottor De Laurentis fece mettere a verbale che quando Domenico Santangelo, il papà di Angela, capì con chi era al telefono la figlia, chiese a lei di porgere i propri saluti al medico.

Sembrerebbe tutto a posto. Eppure, nonostante questo, il dottor De Laurentis, per la magistratura, si accompagnava ad una pista che, come per Annunziato Turro, non doveva essere ignorata. Perché?

La risposta può essere trovata in alcune voci girate a ridosso della scoperta della strage e in particolare in alcune dichiarazioni rilasciate da Fausta Cenname, una nipote della signora Gemma, la matrigna di Angela (come riportato nella sentenza del tribunale di Potenza del gennaio 1984): secondo queste notizie, il dottor De Laurentis era coinvolto in una relazione con Angela, la figlia di Domenico Santangelo. I due, in altri termini, sarebbero stati amanti.

Uno scenario di questo tipo farebbe presupporre una certa ipotesi: quella di un triplice delitto maturato per motivi privati e passionali al culmine di una discussione apparentemente tranquilla, svoltasi in casa Santangelo.

Se fosse verosimile una ipotesi di questo tipo, quale fu il possibile fattore scatenante della strage? Forse una gravidanza di Angela, scoperta da suo padre. Una gravidanza intorno alla quale nacque una discussione tesa e minacciosa in casa Santangelo. Una discussione gestita direttamente dal padre della ragazza con il suo ospite.

Ad Angela, l’assassino assestò due colpi da punta e taglio anche in zona epigastrica, pur non dati in profondità. Ma Angela poteva essere rimasta incinta di qualcuno? L’autopsia, sfortunatamente, non fu estesa ad una analisi anatomo-patologica e istologica dell’utero della ragazza. Questo non può confermare ma non può nemmeno escludere l’ipotesi di una gravidanza. Fu fatta anche l’ipotesi di un aborto tenuto segreto.

Inoltre un consulente dell’avvocato Mario Zarrelli svolse alcuni analisi sulle ovaie della ragazza: nelle ovaie sarebbe stata trovata una conferma all’ipotesi di una gravidanza della giovane uccisa. Sono sufficienti questi elementi, da soli, per considerare il dottor De Laurentis una persona sulla quale andavano svolti accertamenti approfonditi?

In realtà, c’era qualcos’altro. Due indizi oggettivi rilevati sulla scena del crimine: nel sangue delle vittime, l’assassino stampò tracce di scarpa numero 42 e vicino al tappeto del salotto furono trovati frammenti di vetro compatibili con lenti di occhiali da vista (dimostrazione che forse l’assassino portava gli occhiali e che questi si erano danneggiati durante il triplice delitto).

Il dottor De Laurentis portava scarpe numero 41 e facevo uso di occhiali da vista. Risultò che, agli inizi di novembre del 1975, il medico si era recato presso un ottico per far aggiustare i suoi occhiali da vista.

In merito all’indizio delle scarpe, ci fu poi un grave errore operativo che portò la responsabilità dei carabinieri: i militari dell’arma avvertirono telefonicamente casa De Laurentis, prima di recarsi nell’abitazione del medico per effettuare un controllo sulle scarpe del dottore.

Dall’appartamento della strage risultò assente il diario personale di Angela, trafugato dall’assassino dopo che questi aveva rovistato nella borsa della ragazza nella camera da letto di lei. Angela nel suo diario scriveva tutto ciò che la riguardava, come ci ha recentemente raccontato in una intervista la sua migliore amica.

C’è tuttavia un interrogativo molto importante e necessario che bisogna porsi: se la vita privata di Angela nascondeva qualche complicato retroscena passionale, il fidanzato della ragazza, Nicola Sceral, era all’oscuro di tutto questo?

Sarebbe interessante scoprirlo. Soprattutto dopo che la migliore amica di Angela ci ha detto, nell‘intervista gentilmente rilasciata per cronaca-nera.it, che a lei non risultava affatto che Angela avesse un fidanzato. Come invece scrissero i giornali dell’epoca e come si evincerebbe da una lettera che Angela aveva scritto a Nicola alle 22:30 del 29 ottobre ’75, un’ora prima di essere uccisa.

Dalla stessa intervista, abbiamo inoltre appreso che Angela aveva parlato alla sua amica di qualche problema inerente il proprio posto di lavoro: qualcuno che le stava dietro e che ogni tanto le aveva fatto delle avance.

C’è anche una dichiarazione dell’avvocato Domenico Zarrelli, rilasciata in televisione nel 1999 al programma “Blu notte”, che fa pensare: l’avvocato aveva parlato di un medico. Un medico che si disse era stato l’amante di Angela e che le aveva trovato un fidanzato per coprire la sua posizione. La strage sarebbe avvenuta per una discussione degenerata, incentrata su una gravidanza di Angela o su un aborto tenuto segreto.

L’assassino trascinò i cadaveri di Domenico Santangelo e di Gemma Cenname (e i resti del cagnolino Dick) nel bagno dell’appartamento, depositandoli nella vasca. Perché lo fece? Per farli a pezzi o per far ritardare la scoperta dei corpi e della bestiola evitando odori sgradevoli?

L’autopsia del 1975 (eseguita dai professori Achille Canfora e Pietro Zangani, con la successiva collaborazione del professor Goffredo Sciaudone) fornì un suggerimento agli investigatori (suggerimento riportato all’attenzione dalla sentenza della Corte d’Appello di Potenza del gennaio 1984): considerando il suo agire, non si poteva escludere un bagaglio di conoscenze “tecniche” (mediche?) da parte del colpevole.

E’ da notare, poi, come nei confronti del corpo privo di vita di Angela c’è stata una disparità di trattamento da parte dell’assassino, rispetto ai cadaveri di Domenico Santangelo e Gemma Cenname: la ragazza viene sollevata dal pavimento, lasciata sul letto di suo padre e della sua matrigna e coperta con lenzuola e coperte. Perché questo gesto, che sembra di simbolica “considerazione speciale” verso Angela?

Le sigarette Gitanes, senza filtro, erano un indizio collegato ad una delle due piste tracciate dalla corte d’Assise d’Appello di Potenza nel gennaio 1984? Le impronte digitali sulla bottiglia di whisky e su quella di brandy appartenevano a una delle due persone sulle quali la magistratura indicò possibili piste erroneamente trascurate nel 1975?

Oggi, con la prova del DNA, possiamo saperlo. Oggi siamo ancora in tempo per scoprire questo e tante altre cose, per trovare risposte a tutte quelle domande.

Per sapere chi, 36 anni fa, entrò in casa Santangelo senza aver premeditato un triplice delitto (ce lo dicono le due armi occasionali di casa Santangelo, impiegate dall’assassino: un corpo contundente da salotto e un coltello da cucina) ma poi trasformandosi d’improvviso in una belva assassina. In un mostro.

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