
di Valentina Magrin
3 FEBBRAIO 2010: davanti ai giudici della Terza Corte D’Assise di Roma presieduta da Evelina Canale inizia il processo a carico di Raniero Busco, accusato di omicidio volontario nei confronti di Simonetta Cesaroni, trovata morta in uno stabile di via Poma (Roma) il 7 agosto 1990. Il Comune di Roma si costituisce parte civile: in caso di risarcimento i soldi andranno alla sicurezza dei romani.
16 FEBBRAIO 2010: vengono visionate 3 videocassette e un dvd contenenti alcune dichiarazioni rilasciate dai genitori di Simonetta Cesaroni nel 1990. Viene ascoltata la testimonianza della madre della ragazza, Anna Di Giambattista, che ricostruisce la giornata del 7 agosto 1990 e parla dei rapporti burrascosi tra Raniero Busco e Simonetta “perché Raniero usciva con l’ex ragazza e anche con altre ragazze”. Raniero, comunque, non ha mai alzato le mani nei confronti della figlia.
 Paola Cesaroni e Antonello Barone,   sorella della vittima e suo fidanzato all’epoca dei fatti,  sottolineano  alcune stranezze nel comportamento del datore di lavoro di  Simonetta e  della portiera dello stabile di via Poma la sera in cui  venne ritrovato  il corpo: “Mentre con il mio fidanzato andavamo in via  Poma, Volponi mi è apparso molto nervoso.  La sensazione che ho  avuto è che mi aveva fatto perdere tempo nelle  ricerche di Simonetta”. E  ancora: “Quando arrivò la polizia la portiera  disse che non aveva le  chiavi anche se ci aveva aperto prima l’ufficio.  Disse di non averle  anche se le teneva dietro la schiena. Al mio invito  le tirò fuori e la  polizia salì in casa”.
Viene acquisite agli atti due lettere di Simonetta Cesaroni.   Nella prima, indirizzata a Babbo Natale, scriveva: “L’amore è fatto da   tante piccole cose: un sorriso, una carezza, un bacio, un tenero e  forte  abbraccio, uno sguardo luminoso pieno di ammirazione, e invece l’unica cosa che ho ricevuto in cambio dalla persona che amo è indifferenza e sesso.   Tutto questo mi fa sentire un oggetto nelle mani della persona che mi   sta usando e la cosa più brutta è che sono cosciente del fatto che un   bel giorno, quando si sarà stufato di nuovo, mi lascerà e sarà fiero di   se stesso perché potrà aggiungere un nome alla lista delle donne che è   riuscito a portarsi a letto. Quest’anno, caro Babbo Natale, vorrei una   cosa, forse l’unica che mi manca: il suo amore. Ti prego, esaudisci   questo mio desiderio”. La seconda lettera è indirizzata a un’amica e si   legge: “Tante volte mi sono alzata la mattina convinta che l’avrei  fatta  finita con la storia. Ma una volta davanti a lui non ho la forza.  So  cosa significa stare male, soffrire per la sua indifferenza, ma   soprattutto piangere e annullare me stessa. Voglio odiarlo, odiarlo più   di quanto lo amo. Sono nauseata di tutto questo. Io non sono niente per lui; mi maltratterebbe se potesse”.
24 FEBBRAIO 2010: vengono mostrate in aula alcune foto della scena del delitto. Raniero Busco fatica a guardarle. Ciro Solimene, il poliziotto della scientifica che per primo entrò nell’appartamento di via Poma, descrive così il corpo di Simonetta Cesaroni: “Il corpo era freddo, rigido. Gli occhi e la bocca chiusi, la testa girata verso destra […] con ecchimosi alla cavità orbitale e ferita da taglio al torace, alla regione mammaria e a quella pubica. Sul pavimento sangue copioso all’altezza del pube e di una spalla della ragazza”. Nei due mesi successivi all’omicidio vennero trovate altre macchie rossastre sulla pulsantiera e sulla cabina dell’ascensore, su un muro delle scale, su alcuni poster e su un termosifone nella stanza del delitto.
Chiamato a testimoniare l’investigatore Fabrizio Brezzi, dichiara che nel secondo interrogatorio che fu fatto all’epoca a Busco non gli venne chiesto l’alibi: questo perché sembrava già accertato e comunque su di lui non c’erano sospetti.
www.cronaca-nera.it
Leggi anche:
GIALLO DI VIA POMA: LA CRONOLOGIA DEL PROCESSO A RANIERO BUSCO






							
    