
di Valentina Magrin
12 MARZO 2010: nel corso di questa udienza avrebbe dovuto testimoniare Pietrino Vanacore,  ex portiere dello stabile di via Poma e per molto tempo sospettato  dell’omicidio di Simonetta Cesaroni. Ma l’uomo, il 9 marzo 2010, si è tolto la vita. Il pm Ilaria Calò avanza  il sospetto che Vanacore sia coinvolto nella vicenda: “Vanacore  individuò il corpo senza vita della Cesaroni nelle stanze del direttore,  Corrado Carboni”, ma – sempre secondo il pm – non chiamò la polizia,  pensando che si trattasse di un incidente in seguito a un “incontro clandestino”.  Vanacore avrebbe quindi effettuato tre telefonate: una al presidente  degli Ostelli della Gioventù, Francesco Caracciolo, una al direttore  Corrado Carboni e una a Salvatore Volponi, il datore di lavoro di  Simonetta. Il portiere a quel punto “non allerta la polizia, prende le  chiavi con il nastro giallo, che erano quelle di riserva per accedere  agli uffici ed erano appese ad un chiodo dietro la porta, e va via  chiudendo l’ingresso”. Vanacore però dimentica nell’appartamento la sua agendina rossa,  che un mese dopo verrà data dagli inquirenti alla famiglia della  vittima, pensando che fosse di Simonetta. Non riconoscendola come  appartenente agli oggetti personali della figlia, il padre la renderà  alla polizia.
Viene letta la dichiarazione del colonnello dei carabinieri Giovanni Danese (ora deceduto): “Il 7 agosto 1990 , intorno alle 16, ero in attesa del  mio autista quando vidi un giovane di circa 25 anni, distinto, che mi  chiese con fare balordo dov’erano gli uffici dell’Aig. Non sapendo  rispondergli e credendo fossero gli uffici del Comune, gli indicai il  palazzo di fronte. Mi disse però che era sicuro che fossero lì, in via  Poma 2, e io allora gli indicai la portineria. Andò via senza salutare,  ma dopo 15 minuti ritornò”.
Salvatore Volponi non si presenta a testimoniare in quanto, scrivono i medici, “affetto da una depressione bipolare” da alcuni anni.
7 APRILE 2010: per la seconda volta Salvatore Volponi non rende testimonianza per motivi di salute. 
Due impiegate dell’Aiag sostengono che Pietrino Vanacore effettuava lavoretti saltuari negli uffici di via Poma e per questo, per un periodo di tempo, aveva posseduto le chiavi di quell’appartamento.
Un altro dipendente dell’Aiag, il ragioniere Luciano Menicocci,  sostiene che sia Salvatore Volponi che Ermanno Bizzochi (l’altro  gestore della Reli Sas) sapessero dove si trovavano gli uffici di via  Poma e ne avessero anche il numero di telefono. Volponi invece, secondo  la testimonianza di Paola Cesaroni, il giorno del delitto aveva detto di  non conoscere l’ubicazione degli uffici.
9 APRILE 2010: Testimonia Francesco Caracciolo, ex presidente dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù. Sostiene di non aver mai conosciuto Simonetta Cesaroni.
Testimonia Luigina Berrettini,  responsabile dell’ufficio del personale dell’Aiag all’epoca dei fatti,  che dichiara di non aver conosciuto personalmente Simonetta ma di averle  parlato telefonicamente 2 volte il pomeriggio del 7 agosto: “Erano le 17.15 quando Simonetta mi chiamò a casa.  Mi disse che aveva difficoltà nell’inserimento di alcuni dati nel  computer. Io non sapevo come aiutarla perché non avevo dimestichezza col  computer, e allora le chiesi di darmi il numero dell’ufficio. Prima  avrei sentito, come feci, Anita Baldi, che era il direttore  amministrativo dell’associazione, e poi l’avrei richiamata. La Baldi  m’indicò la soluzione del problema e io gliela dissi”.
Testimonia Mario Macinati,  all’epoca dei fatti ‘fattore’ della casa di campagna di Francesco  Caracciolo. Sostiene di non aver mai conosciuto Pietrino Vanacore,  nonostante in passato abbia affermato il contrario. Lui e il figlio  inoltre confermano le due telefonate ricevute la sera dell’omicidio, una  intorno alle 21 e una intorno alle 23: aveva risposto la moglie di  Macinati perché lui stava riposando. L’interlocutore, che non disse chi  era ma che probabilmente era una persona collegata all’Aiag, aveva  bisogno di parlare con Caracciolo.
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