Delitto di Udine: c’è qualcosa che non torna nel racconto delle due ragazze


di Valentina Magrin
direzione@calasandra.itsacher

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12 aprile 2013

Le due quindicenni di Udine hanno raccontato la verità: è questa l’ipotesi più accreditata da parte del gip del Tribunale dei minori di Trieste Laura Raddino, che ieri ha convalidato il fermo delle ragazzine. Si sarebbe quindi trattato di omicidio preterintenzionale (per “legittima difesa”), non volontario: le due giovani avrebbero reagito a un approccio sessuale da parte del pensionato (ex ferroviere) Mirco Sacher, e nel tentativo di difendersi ci sarebbe “scappato” il morto.

L’ordinanza di custodia cautelare, tuttavia, non esclude che le cose possano essere andate diversamente, come infatti sembrano pensarla gli investigatori. “Non voglio che mi mettete più le mani nel portafoglio” avrebbe detto Sacher alle ragazze domenica mattina, poche ore prima di essere ucciso, mentre si trovavano all’interno di un supermercato. Questa frase, riportata da una cassiera, potrebbe nascondere tutta un’altra storia.

Sono infatti ancora molti gli elementi che non tornano in questa vicenda.

Non si capisce, ad esempio, come mai Mirco Sacher per dar sfogo alle sue pulsioni sessuali avrebbe condotto le sue giovani amiche nel campo di via Buttrio, non approfittando del fatto che poco prima erano a casa sua.

Non si capisce, o meglio, ancora non è emerso alcun precedente comportamento ambiguo del Sacher, né con le ragazzine in questione né con altre giovani. E, si sa, difficilmente un pedofilo si scopre tale a 66 anni.

Non si capisce perché le ragazzine, dal momento che erano in due, non siano riuscite a scappare o non abbiano cercato aiuto, dal momento che quella zona era abbastanza frequentata. Loro erano due: difficile pensare che Sacher le avesse immobilizzate entrambe contemporaneamente.

Non si capisce, infine, perché le ragazzine sostengano di aver avuto un’accesa discussione con Sacher, mentre alcuni testimoni dichiarano di averli visti chiacchierare tranquillamente pochi minuti prima dell’omicidio.

Proviamo poi a metterci nella testa di queste due giovani, che prima rischiano di venir violentate, poi ammazzano una persona e, con una freddezza perlomeno poco consona alla loro età, gli rubano il bancomat e si danno alla fuga proprio con l’auto della vittima, guidata da una di loro, quindi una minorenne, per diversi chilometri e persino in autostrada… insomma, c’è qualcosa che non torna.

sacherRipartiamo dunque da sabato 6 aprile 2013. Le due ragazzine trascorrono la serata insieme e una delle due si ferma a dormire a casa dell’altra. La mattina seguente, alle 10.30 circa, le due contattano Mirco Sacher. Si tratta di un amico di famiglia “storico”, quasi un nonno per una delle ragazze, ma l’altra pure lo conosce da tempo.  Non è la prima volta che i tre si incontrano: Sacher sarebbe stato solito fare dei favori alla “nipotina” e all’amica, come ad esempio accompagnarle in auto da qualche parte. I tre si dirigono quindi in una gelateria di Remanzacco (Udine), dove una telecamera di sorveglianza li riprende in atteggiamenti tranquilli. Successivamente si recano in un supermercato e quindi a  casa di Sacher, in via Strassoldo, dove pranzano insieme. Verso le 14 le ragazzine chiedono all’uomo di accompagnarle in centro città per fare una passeggiata. Lungo il tragitto, però, Sacher avrebbe inspiegabilmente deviato verso il campo di via Buttrio. Alle 14.30 e alle 14.45 due testimoni notano la Fiat Punto di Sacher e, fuori dall’auto, l’uomo e le due giovani che parlano tranquillamente. Alle 15.30 il primo testimone ripassa di lì e trova il cadavere di Sacher. Cos’è successo in quei 45 minuti?

Le ragazzine raccontano il tentativo di aggressione, quindi l’omicidio avvenuto, pare, per strangolamento. A quel punto una delle due si mette alla guida della Fiat Punto. È la prima volta in vita sua che guida e quindi per un’ora e mezza le due vagano per la città senza una meta precisa ne con evidenti difficoltà. Infine riescono a imboccare l’autostrada, ma la loro corsa si ferma all’autogrill di Limenella, nei pressi di Padova, perché finisce la benzina.  A questo punto fanno l’autostop e riescono a raggiungere la stazione di Vicenza. Da qui prendono un treno che le porta a Venezia-Mestre, dove incontrano due ragazzi ai quali confessano l’accaduto. Questi due ragazzi le convincono a costituirsi e, alle 2 di notte, le accompagnano alla stazione dei carabinieri di Pordenone.

È verosimile questo racconto? Gli investigatori non ne sembrano convinti e sospettano che all’origine di tutto ci sia, piuttosto, un ricatto all’uomo da parte delle due ragazzine.

Saranno forse gli esami del Dna, gli accertamenti sui tabulati telefonici e sulle pagine Facebook a darci maggiori dettagli su come si sono svolti effettivamente i fatti e sull’eventualità o meno che ci siano altre persone coinvolte.

Nel frattempo le due giovani verranno collocate in due distinte comunità, in Veneto o in Lombardia.

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