Mostro di Firenze: le zone d’ombra, capitolo 1

mostro di firenzecronaca-nera.it presenta: Il mostro di Firenze. Ecco il primo di una serie di interessanti articoli scritti da alcuni tra i massimi esperti sui delitti del “Mostro di Firenze”

Di Paolo Cochi , Alessandro Feri , Master evo *

Caratteristica fondamentale di due rette parallele è quella di non incontrarsi mai, eccetto che in un punto, detto infinito… L’infinito, implicitamente, è ciò che non si vede, ciò di cui non si ha e non si può aver prova…

Tante indagini, due filoni d’inchiesta, montagne di carta e d’inchiostro, tra atti d’ufficio, carte processuali, ricerche, pubblicazioni, teoremi, il tutto a far da sfondo ad un comune sentire che mai avrebbe immaginato tutto ciò… Eppure, nella civilissima Firenze di oggi, la stessa che delle vestigia di un’illustre passato, di poeti, pittori, architetti, scultori, artisti di ogni genere, ed ancora inventori e scienziati, si era fatta vanto,  nelle sue campagne così ricercate, meta ambita da chiunque, qualcosa di impensabile era rinvenuto a galla, a testimonianza di un passato creduto ormai sepolto, fatto di congiure e tradimenti, roghi ed impiccagioni, vendette e sangue… Chi lo avrebbe mai creduto ? Quella del mostro di Firenze è una di quelle storie che non basterebbe un’enciclopedia per raccontarla tutta.

Questo articolo non ha lo scopo di fare una summa di tutta la vicenda, bensì quello di tentare di mettere in luce le tante zone d’ombra  della vicenda alle quali, negli anni, non sono state date risposte. La vicenda in questione ha fatto discutere molto e continuerà a farlo: decenni d’indagine, una scia di sangue di almeno 16 morti, tante “morti collaterali” due discusse condanne definitive ai presunti complici di Pacciani (il “contadino dal cervello fino” che però è morto da innocente), i sardi finiti in carcere negli anni ’80 liberati dal mostro stesso che tornava a colpire, le infruttuose ipotesi su un possibile secondo livello che hanno portato solo ad assoluzioni. Il compito di questo articolo sarà quello di concentrarsi su elementi mai messi in ribalta dai media, l’obiettivo non è quello di dare risposte certe ma di stimolare nuove riflessioni. Ecco una cronistoria di tutte le “zone d’ombra” della vicenda, i punti critici su cui cerchiamo di fare chiarezza.

mostro di firenze21 agosto 1968 – Il delitto di Signa del 1968 è considerato da molti il primo della serie. Per altri, invece, la mano di questo delitto, pur essendo in qualche modo collegata alla vicenda, non è quella del mostro di Firenze. Sappiamo però che l’arma, fino a prova contraria, è sempre la stessa dei delitti successivi: verosimilmente una Beretta Calibro 22 mai individuata. A tal proposito i bossoli parlano chiaro come la perizia stabilisce. La notte del 21 Agosto  1968 si apri’, come il prologo di una favola dell’orrore, quella catena di omicidi dell’assurdo che durera’ per altri 17 anni. Una notte che avra’ come protagonista uno sventurato pollicino, Natalino Mele, 7 anni da compiere il 25 Dicembre, sulle cui spalle innocenti tutt’oggi grava la soluzione mai data del primo mistero a cui ne seguiranno tanti altri nel tempo.

Il mistero nel mistero più grande, per il delitto del 1968, è capire come Natalino Mele, rimasto illeso in macchina mentre la madre e un amante venivano uccisi davanti a lui, sia riuscito a raggiungere un’abitazione distante almeno un paio di chilometri da solo. Un bambino di 6 anni, che, scalzo e scioccato, riesce al buio a raggiungere una casa distante percorrendo una strada non sterrata? Possibile ma non so quanto probabile. Fatto sta che la testimonianza del Colonnello Dell’Amico, che all’epoca si occupò delle indagini, è abbastanza chiara: secondo lui Natalino era stato accompagnato lì da qualcuno, probabilmente uno della famiglia. A sostegno di questa tesi Dell’Amico porta due elementi significativi: i calzini puliti del bambino che escludevano la camminata di Natalino e l’abitazione di un amico di Salvatore Vinci (un certo Vargiu) situata proprio accanto alla casa dove il bambino chiese aiuto. Con questa ricostruzione non è però d’accordo Nino Filastò, principe del foro fiorentino difensore storico di Mario Vanni, che sostiene l’estraneità dei sardi da tutti i delitti (compreso quello di Signa) e la camminata del piccolo Natalino in cerca d’aiuto. In effetti la documentazione riguardante i calzini di Natalino è quantomeno contrastante: in alcuni casi i calzini sono descritti come “puliti”, in altri come “strappati” o “rotti e polverosi”. Tuttavia, a sostegno della pulizia dei calzini e quindi dell’impossibilità di Natalino ad aver raggiunto un’abitazione per chiedere aiuto da solo, c’è la sentenza di Ferri del Processo Pacciani che parla espressamente di calzini puliti. Non potendo tornare indietro di quarant’anni e passa con la macchina del tempo e non riuscendo a reperire foto delle calze, credo sia necessario prendere per buono ciò che è scritto nella sentenza, mantenendo però un doveroso margine di dubbioin quanto in contrapposizione  alle notazioni sullo stato dei calzini, come gia accennato, vi sono i verbali di coloro che prestarono i primi soccorsi al bambino, i coniugi De Felice e lo stesso piantone della stazione di San Piero a Ponti, i quali li descrissero rispettivamente come “sporchi”, “logori e strappati”, “sporchi ed impolverati”. Al di la di quella che comunque rimane una valutazione soggettiva, il grado di logorio dei calzini, vi e’ un altra evidenza che ha invece i connotati dell’oggettivita’e che mai e’ stata messa in dubbio da nessuno, vale a dire l’aver ritrovato accesa la freccia destra della Giulietta, la cui attivazione Natalino aveva anticipato nel suo racconto al De Felice ancor prima  che l’auto venisse ritrovata. Quella luce lampeggiante quindi sarebbe stata lasciata cosi’ dall’assassino che incredibilmente, dovendo perdere almeno un ora per accompagnare il bimbo fino alla casa del Vingone, non si sarebbe curato di ristabilire il buio sulla scena del misfatto, rischiando che la scoperta del delitto potesse essere anticipata quando ancora magari si trovava col bambino in spalla in mezzo ai campi. Quale omicida, o peggio gruppo di assassini, metterebbe in scena un siffatto comportamento autolesionista amenoche’ non fosse costretto dagli eventi? Chi, se non dovendo fuggire rapidamente per qualche motivo, magari essendosi accorto solo all’ultimo momento che in quell’auto vi fosse anche un bambino innocente, avrebbe mai lasciato accesa quella luce? Come si puo’ vedere ad oggi l’enunciazione di tutti i fatti non puo’ che mettere in risalto tali contraddizioni che non rimane altra strada se non quella, come dicevamo poc’anzi, del dubbio.……………

mostro di firenze15 settembre 1974 – Il delitto del 1974, il primo sicuramente maniacale, non presenta aspetti particolarmente controversi. E’ tutto drammaticamente banale: il mostro uccide i due poveri ragazzi e poi deturpa il corpo della ragazza con tante piccole “incisioni” e un tralcio di vite infilatole nella vagina. Il tralcio di vite non sbuca fuori da qualche “ricetta esoterica” o interpretazione religiosa come qualcuno ha ipotizzato: semplicemente nel luogo del delitto c’era un vitigno, dal quale l’assassino ha strappato un tralcio per infilarlo nel corpo della ragazza a mò di spregio. E’ il sintomo di una mente disturbata che sette anni dopo si ripaleserà con uno step successivo: le escissione al pube e poi, negli anni successivi, anche al seno.

mostro di firenze6 giugno 1981 – Nel 1981 Firenze realizza che un serial killer di coppiette sta agendo nei dintorni della città. Nel giugno ’81 il mostro uccide a Mosciano ed inizia il macabro rito dell’escissione del pube della donna. Finisce in carcere Enzo Spalletti (liberato dal mostro stesso che torna ad uccidere dopo 4 mesi), un uomo dalla facciata di bravo marito cattolico ma con l’hobby del guardone. Cosa incastra Spalletti? Sicuramente le sue dichiarazioni da finto ‘gnorri rilasciate al bar che fanno capire che lui probabilmente i due cadaveri li ha visti, o forse almeno qualcosina sa. Davanti agli inquirenti tentenna, finisce in gattabuia e da quel giorno non parlerà più con nessuno di quella spiacevole notte che gli costò mesi di galera. C’è però un particolare del caso-Spalletti, che è stato troppo trascurato dalla stampa e la bigliografia sterminata che si è occupata del mostro. Come testimonia il Colonnello Dell’Amico, persona squisita che conserva un’ottima memoria storica sul caso, gli inquirenti interrogano Spalletti perché qualcuno segnala la sua targa in prossimità del delitto. E’ una segnalazione anonima della quale sarà impossibile saperne l’autore. Questa segnalazione è però molto significativa perché, nell’arco di tutta la vicenda, non sarà la prima volta che un anonimo beninformato riesce a condizionare le indagini. Colui che ha segnalato la targa è forse lo stesso uomo in divisa che minacciò Fosco Fabbri, “collega” guardone di Spalletti? Non possiamo affermarlo, tuttavia una segnalazione di questo tipo è molto strana. Gli scenari possibili non sono molti.

Un cittadino qualunque una sera passa da Mosciano e vede una macchina, della quale il giorno dopo, saputo del delitto, decide di segnalare la targa. In questo caso il “segnalatore” avrebbe capacità mnemoniche da Guinness dei primati ed una notevole abilità nel leggere al buio; è uno scenario altamente improbabile. Forse allora la segnalazione è partita da un altro guardone, (qualcuno che ha visto i cadaveri ed anche lo Spalletti aggirarsi nella zona del delitto) che, bloccato dalla paura che non gli permette di parlare, decide di dare un possibile aiuto alle indagini segnalando la targa del suo amico/conoscente guardone che forse ne sa più di lui. Questa è già una possibilità meno remota, tuttavia mal si spiegherebbe il fatto che la pavidità del segnalatore, verosimilmente consapevole che Spalletti non poteva essere il mostro ma un semplice guardone, fosse così elevata da non farlo mai uscire allo scoperto con un innocente in galera per causa sua. Rimane un’ altra possibilità, più inquietante ma anche più probabile: chi ha segnalato l’auto di Spalletti è il mostro di Firenze stesso o qualcuno che fa il suo gioco! Forse lo fa per prendersi gioco degli inquirenti, o per il puro piacere di depistare e mandare un po’ al fresco un “indiano” (così all’epoca venivano chiamati i guardoni) impiccione e ficcanaso.

mostro di firenze22 ottobre 1981 – Il mostro stesso darà poi un aiuto decisivo alla scarcerazione di Spalletti, visto che il 22 ottobre 1981 un’altra coppia viene uccisa a Calenzano. Gli inquirenti capiscono di trovarsi di fronte a un maniaco che ha un target di vittime ben preciso: cerca coppie in macchina, preferibilmente appartate in atteggiamenti amorosi. A Calenzano l’auto delle vittime è in una strada stretta senza sfondo, una posizione strana considerati i tanti posti più comodi presenti in zona. D’altro canto, quando si è innamorati, non ci si pongono troppi problemi logistici, quindi il posizionamento dell’autovettura può sorprendere ma non eccessivamente.

mostro di firenze19 giugno 1982 – Molto più controverso è invece il successivo delitto, quello di Baccaiano del giugno 1982, infatti qui “la zona d’ombra” riguarda proprio la dinamica del delitto. La macchina della vittima maschile finisce fuori strada, questo certamente impedisce al mostro di effettuare le escissioni. Ma chi era a guidare la macchina che finisce fuoristrada? La vittima maschile o il mostro stesso? Nonostante infiniti dibattiti online e ricostruzioni nei processi non è stato possibile rispondere “con certezza scientifica” a questa domanda; per dovere di cronaca occorre ricordare che la “ricostruzione ufficiale” ipotizza il tentativo di fuga del ragazzo, che riesce a mettere in moto l’auto ma poi finisce fuoristrada ferito con il mostro alle calcagna. In questo omicidio l’assassino  dimostra tutta la sua capacita’ di sparare e di reagire adeguatamente alle circostanze avverse che si erano create. E’ difficile, se non impossibile, ricostruire una scena del crimine così concitata, visto che il tutto avviene sul ciglio di una strada non isolata e, in un lasso di tempo brevissimo dagli spari, arrivano già i primi, purtroppo inutili, soccorsi. Dopo questo delitto si “scopre” che la stessa arma del mostro aveva ucciso un’altra coppia nel 1968. Come avviene questa scoperta? Una reminiscenza improvvisa di un certo maresciallo Fiori, che si ricorda del vecchio delitto di Signa (con un presunto colpevole Stefano Mele ancora in galera); l’improvviso ricordo permette di rispolverare un fascicolo su Signa e comparare i bossoli ancora presenti, stabilendo che l’arma è quella del mostro. Questa versione dei fatti sul collegamento con Signa non ha mai convinto buona parte dell’opinione pubblica. I rumors infatti, nell’estate 1982, parlavano di uno o più messaggi anonimi che invitavano ad andare a controllare il vecchio delitto di Signa. C’è chi dice che il messaggio fosse un bigliettino con scritto: “Andate a vedere il processo di Perugia ai danni del Mele (o qualcosa dal contenuto simile)”, con allegato un articolo di giornale sul delitto del ’68; qualcun altro parlava solo di un bigliettino facente riferimento a Signa, senza nessun articolo di giornale: varie versioni sul possibile messaggio anonimo sono girate, sicuramente, aldilà delle differenze sui dettagli, erano voci troppi insistenti e diffuse per essere solo “chiacchiere di paese”.

Una dichiarazione firmata di Tricomi (G.I. dell’epoca del delitto), rilasciata al giornalista Mario Spezi, mette chiarezza su questo punto. Tricomi dichiara che al maresciallo Fiori arrivò un articolo di giornale sul delitto di Signa, articolo che il maresciallo consegnò a lui stesso. Se insieme all’articolo di giornale ci fossero stati anche biglietti scritti non viene riportato nella dichiarazione scritta di Tricomi, ma, a logica, anche il solo articolo di giornale sarebbe stato sufficiente a ricollegare il delitto di Signa con quelli del mostro, facendo “accendere la lampadina” degli inquirenti.

Ecco dunque che Fiori non ha avuto un’improvvisa riminescenza, o meglio il primo ricordo di Signa può averlo avuto anche lui, ma sicuramente senza un input esterno, cioè il ritaglio di giornale mandato da un anonimo, quel collegamento non sarebbe mai avvenuto nell’estate 1982. Ci sono pochi dubbi sulla possibile identità dell’anonimo beninformato che manda l’articolo: costui è il mostro stesso o un suo aiutante. Chi conserverebbe infatti, per una quindicina d’anni, un articolo di un delitto di provincia, piuttosto banale e con un presunto colpevole ritardato di mente in galera? Qualcuno per il quale quel delitto aveva una certa importanza, qualcuno che conosceva il suo legame con i successivi. Non convince l’ipotesi dell’aiuto di un benefattore che vuole aiutare le indagini in forma anonima, che aiuto beffardo sarebbe un articolo di giornale di un vecchio delitto? Perché, anonimato per anonimato, l’informatore non dà anche qualche informazione su come indagare e su chi possa essere il mostro? Ecco che l’articolo di giornale acquisisce un significato rivendicativo, tipico del serial killer paranoico che si diverte ad interagire con gli inquirenti ma non vuole farsi beccare. Come sostengono gli esperti dell’Fbi, un assassino di questo tipo vuole avere il più possibile un “controllo” sulle indagini, a volte addirittura ingannando gli inquirenti con depistaggi fatti per pura megalomania. Chissà infatti se il mostro, se non faceva parte della cerchia dei sardi, avrebbe immaginato che il collegamento con Signa da lui voluto avrebbe portato le indagini su un binario morto incapace di dare frutti. La pista sarda infatti fu pressoché l’unica direzione intrapresa dalle indagini dal 1982 al 1989: pastori e fornai incarcerati e poi liberati dalla pistola fumante del mostro che tornava annualmente ad uccidere, tante ipotesi su passaggi di pistola fra membri di possibili clan, pettegolezzi su perversioni sessuali, ma, alla fine della fiera, nessun successo investigativo. Intendiamoci, non dico che la pista sarda fosse necessariamente sbagliata, affermo solo che, oggettivamente, non ha portato a risultati di rilievo.

mostro di firenze 79 settembre 1983 – Come detto è il mostro stesso che farà gradualmente scemare la pista sarda, a cominciare dal delitto di Giogoli (settembre 1983) quando uccide due ragazzi tedeschi. Forse voleva colpire due omosessuali, forse ha scambiato uno dei due ragazzi per una donna: difficile da stabilirsi. Un dato oggettivo, forse non diffuso limpidamente all’epoca per comprensibili ragioni di privacy, era il fatto che i due turisti tedeschi fossero omosessuali, o almeno così riporta un documento dell’Interpool e la perizia dell’Fbi. Rilevante il fatto che i turisti tedeschi siano passati per Scopeti (dove vennero fatti andare via da un metronotte perché là non era consentito sostare), prima di fermarsi a Giogoli: ovverosia i due sostarono nello stesso luogo dove due anni dopo morirà un’altra coppia di turisti, sempre per mano del mostro. Sorge spontanea una domanda: se il mostro riusciva ad interagire con gli inquirenti, è plausibile che abbia instaurato un legame anche con le vittime, in primis i turisti, magari fingendosi un italiano gentile disponibile a dispensare consigli su dove pernottare nelle campagne toscane? Chissà, ciò che è certo è che il mostro appare come un personaggio furbo e ben organizzato, che ha dimostrato di avere una serie di abilità diaboliche (saper sparare più che decentemente, tagliare discretamente, muoversi in luoghi isolati e bui con disinvoltura) .

29 luglio 1984 – Nel 1984 il mostro uccide a Vicchio, praticando per la prima volta l’escissione al seno della vittima (una teoria interessante su questo ulteriore step omicidiario è disponibile su youtube, per vederlo clicca qui)

mostro di firenze 8 settembre 1985 – Con il delitto di Scopeti, settembre 1985, il mostro di Firenze sparisce per sempre nel nulla, non prima però di mandare un segnale di presenza, incontrovertibile che mette in mostra la sua follia ma anche la sua potenza. Infatti, dopo l’ultimo delitto, il mostro spedisce una busta con un lembo di seno della vittima francese alla Procura di Firenze, intestandola a Silvia Della Monica, magistrato donna che si era occupata del caso. Perché il mostro, compiuto il delitto a Scopeti, va fino a San Piero a Sieve a spedire quella busta? Perché compie un percorso variabile dai 48 ai 58 chilometri per mandare questo messaggio? E’ vero che non necessariamente, essendo la data e l’ora del delitto degli Scopeti incerta, il mostro deve aver guidato per una cinquantina di chilometri subito dopo l’omicidio con pistola e feticci appresso; potrebbe essersi fermato a casa per un lasso di tempo sufficiente a riposarsi e ripartire con calma.

La domanda rimane però: per quale di motivo il mostro sceglie San Piero a Sieve? Forse viveva nel Mugello? Forse frequentava il negozio di Caccia&Pesca situato proprio davanti la buca delle lettere? Probabilmente la scelta del mostro aveva un significato molto più inquietante, era un autentico messaggio di sfida agli inquirenti. Infatti, in una recente intervista, la stessa Silvia Della Monica ha dichiarato che nell’85 aveva una residenza estiva proprio nella zona di San Piero a Sieve, a circa 3 km dal luogo dal quale è stata inviata la busta. Una bella coincidenza che non può essere sottovalutata. In una lettera anonima, un presunto mostro scrisse agli inquirenti: “Sono molto vicino a voi… Non mi prenderete se io non vorrò…”. Scritta dal mostro o meno, quella lettera conteneva forse una verità.

ma come erano andate veramente le cose ?

Insomma, alla fine, chi era il “Mostro di Firenze” ?

* iimmagini tratte dal film-documentario: “I delitti del mostro di Firenze” di Paolo Cochi

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