Le ultime vittime del mostro di Firenze: intervista esclusiva all’avvocato Vieri Adriani

 

di Paolo Cochi

A tanti anni di distanza c’e’ ancora chi chiede giustizia e non si arrende. L’avvocato Vieri Adriani, parte civile delle vittime dell’ultimo omicidio del mostro di Firenze, avvenuto nel settembre del 1985, sottolinea  i tanti punti oscuri del delitto degli Scopeti. I tanti elementi (raccolti in una ricerca che a breve verrà pubblicata) possono aprire nuovi scenari e nuove ipotesi circa i delitti del mostro di Firenze.

Perché dopo tantissimi anni e tre sentenze di condanna passate in giudicato, si continua a parlare dei delitti del Mostro?
Per la verità dopo l’assoluzione dell’ultimo protagonista di questa vicenda, Francesco Calamandrei, come difensore di parte civile ero rimasto abbastanza colpito. Soprattutto mi aveva colpito l’annientamento totale – ad opera del giudice dell’abbreviato – delle tesi addotte dalla Procura della Repubblica di Firenze per giustificare il rinvio a giudizio e la richiesta di condanna (all’ergastolo!) del Calamandrei, quale presunto responsabile del delitto degli Scopeti (e degli altri quattro delitti precedenti). Ancora più sconcertante, per me e per il mio ruolo, è che la stessa Procura non abbia mai presentato appello contro tale decisione.

È stata, dunque, una necessità per così dire “logicamente indotta” dover ammettere che forse qualcosa non quadrava e iniziare così un percorso di rielaborazione critica di tutta la versione ufficiale. Poi, nel marzo 2010, la famiglia Kraveichvili mi ha chiesto di verificare se era possibile “relancer l’affaire”, incaricando un professore di sociologia, Salvatore Maugeri (di nome italiano ma francese di nascita), di prendere contatto con me per capire come mai non fosse stato possibile ottenere giustizia per le vittime francesi. Col professor Maugeri ho iniziato un fecondissimo rapporto di collaborazione professionale, mirato a ripercorrere le tappe, estremamente complesse, dell’ultimo delitto attribuito al c.d. “Mostro di Firenze” . La ritenuta colpevolezza di Mario Vanni e Giancarlo Lotti, a nostro parere, non è stata, infatti, adeguatamente né motivata, né supportata sul piano delle prova. In una parola: non ci soddisfa.

Quasi contemporaneamente sono stato contattato da altre due persone, animate dal mio stesso interesse. Uno è Enrico Manieri, perito balistico per la difesa nel processo d’appello a carico di Pietro Pacciani, profondo conoscitore del caso e autore di interessanti articoli sull’argomento. L’altro si chiama Francesco Cappelletti: un giovane appassionato, rivelatosi per me una vera miniera di informazioni e di intuizioni. Con tutti e tre ci siamo scambiati reciproche impressioni, in una sorta di lavoro di squadra, così da permettermi di giungere ad alcune conclusioni, esposte in un libro di prossima pubblicazione e firmato sia da me che da Maugeri e Cappelletti . Titolo: “Delitto degli Scopeti, Giustizia mancata”.Mi sono avvalso anche della consulenza del Dr. Edoardo Franchi, medico legale presso l’Università di Firenze, il quale mi ha fornito diversi utili spunti, sia per la ricostruzione della dinamica, che per la critica dell’elaborato ufficiale medico-legale dei periti dell’epoca.

Per precisione, anche il libro del quale sto parlando, dedicato appunto all’approfondimento del delitto degli Scopeti, è una copia fedele di un resumè di recente spedito ad un avvocato di Bruxelles, per avere lumi da costui circa l’opportunità e la fattibilità di una causa di danni rivolta contro il nostro Stato. Oggetto del quesito: se sia possibile dimostrare con successo sia l’unidirezionalità e la lacunosità dell’indagine di polizia condotta  su quest’ultimo delitto, sia il travisamento dei fatti e delle evidenze della scena criminis (e non solo) da parte delle sentenze rese dall’Autorità Giudiziaria su questa vicenda.

rotella mauriQuali sono i punti più significativi della vostra ricerca?
Nel rispondere a questa domanda non posso non essere estremamente didascalico. Secondo me (e anche secondo gli amici che hanno collaborato con me) le indagini di polizia giudiziaria tralasciarono molti punti viceversa meritevoli di esplorazione e/o di approfondimento. Fra i più significativi – rimandando per il resto alla lettura del libro di cui sopra – cito prima di tutto l’errore medico-legale compiuto nell’accertamento della data dell’uccisione dei due giovani francesi: non domenica 8 settembre 1985, ma sabato 7 settembre  o forse anche venerdì 6. Il che condiziona, inevitabilmente, sia la valutazione delle testimonianze e degli alibi, tutti centrati su una data probabilmente sbagliata, sia la considerazione e l’attendibilità del racconto del principale reo confesso, Giancarlo Lotti, e della persona che sarebbe stata con lui quella sera, a torto considerato un testimone, invece che un coimputabile.

Altri punti significativi, corrispondenti ad altrettanti errori e/o omissioni commessi in corso d’indagine di polizia giudiziaria, sono:
la rimozione della tenda, criticata dallo stesso perito  medico legale Prof. Mauro Maurri; la manomissione del cadavere di Nadine in corso di sopralluogo, per fotografarne le escissioni in modo da compromettere però il rigor mortis e la conseguente valutazione della data dell’intervenuto decesso; il riconoscimento della stessa Nadine ad opera di possibili testimoni effettuato sulla base di una vecchia e inattendibile fotografia; la mancata ricerca dei due proiettili la cui presenza, nel piumone e nel cuscino, è data per scontata dalla perizia ufficiale; la mancata identificazione dell’autore di una telefonata anonima effettuata nel settembre 1985 sull’utenza privata del Magistrato già destinatario della lettera anonima; la superficialità dell’accertamento circa l’effettiva partecipazione o meno delle due vittime alla fiera della calzatura a Bologna; l’impossibilità di effettuare alcuna verifica sul contenuto della macchina fotografica in uso alla coppia ed in particolare su diciassette fotogrammi custoditi nel relativo interno; l’omessa attribuzione di ogni opportuno rilievo alla circostanza della mancata repertazione di qualunque oggetto destinato all’igiene personale (così da escludere che la coppia si fosse intrattenuta logicamente su quella piazzola per ben tre giorni di seguito); la mancata acquisizione degli scontrini autostradali utili per la ricostruzione del percorso e del giorno di ingresso in Italia; e molti altri ancora …

scopetiI familiari delle vittime dei due ragazzi francesi , cosa lamentano?

A venticinque anni dalla morte dei loro cari, nel corso del 2010, la famiglia Kraveichvili, insoddisfatta dell’esito dei processi a carico degli indicati responsabili, incarica il Prof. Salvatore Maugeri, docente di Sociologia presso l’Università di Orléans, di compiere ogni sforzo per la ricerca della verità sull’uccisione dei propri familiari. Il Professor Maugeri, che di Jean-Michel Kraveichvili era anche un ottimo amico, studia il caso e col supporto della carte a sua disposizione scrive un libro, ancora non pubblicato, dal titolo “Toscana sanguinosa, i mille volti del Mostro di Firenze”, con il quale denuncia le storture, le illogicità e le carenze dell’inchiesta ultratrentennale sul c.d. “Mostro di Firenze”. Poi, su richiesta della famiglia Kraveichvili, ne invia una sintesi a un avvocato francese, sollecitandolo a richiedere la riapertura delle indagini ovvero in alternativa ad agire nelle sedi competenti per chiedere ragione del censurabile funzionamento della giustizia italiana nell’emergenza specifica.

La notizia è pubblicata dall’A.N.S.A. nel marzo del 2010 e trova una certa risonanza anche su alcuni quotidiani italiani. Le questioni lamentate sono non solo l’approssimazione dell’indagine di polizia giudiziaria, ma anche l’inverosimiglianza dell’accertata responsabilità dei due principali imputati, Lotti Giancarlo e Vanni Mario, in un processo costruito essenzialmente sulle dichiarazioni auto accusatorie dello stesso Lotti, inficiate  però da innumerevoli contraddizioni e smentite in più punti dalla ricostruzione accurata e oggettiva particolarmente dell’ultimo delitto: insistere in un’indagine sbagliata ha compromesso in sostanza le residue possibilità di identificare altri responsabili. Questo è senz’altro il punto maggiormente lamentato dalle famiglie, rappresentate sia da me, che dal Collega Avv. Prof. Fabrizio Corbi. Naturalmente prima di giungere a siffatta conclusione ci siamo avvalsi per la  ricostruzione – la più accurata della vicenda –  del contributo degli esperti e appassionati che ho specificato sopra.

Un’altra grave pecca dell’intera costruzione processuale, a giudizio dei familiari dei giovani francesi, è rappresentata dal fatto che, nelle due fasi successive alla pronuncia della sentenza di primo grado (appello e cassazione) nei confronti dei due soggetti, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, condannati anche per il delitto degli Scopeti, i familiari stessi non erano più rappresentati come nel primo grado, perché l’Avv. Santoni Franchetti, loro patrocinatore, era deceduto prima dell’inizio del processo di appello. Tale circostanza rimase ignota ai familiari delle due vittime sino al marzo 2002, ossia ben oltre il definitivo giudicato su questa vicenda (settembre 2000). A giudizio nostro si è quindi trattato di un processo parzialmente celebratosi, come suole dirsi, “inaudita altera parte”, cioè senza chiedere ragione della nostra sparizione dal processo, e non è poco per un Paese notoriamente definito “la culla del Diritto”!

Ci sono ancora punti oscuri su questa vicenda?
I punti irrisolti sono naturalmente moltissimi, non solo per questo delitto, ma anche per quelli che lo precedettero in ordine di tempo. Basti pensare che, anche secondo la versione ufficiale, i primi tre duplici omicidi – che pure sarebbero stati commessi con le stesse armi di quelli successivi – non hanno mai trovato un colpevole. Astenendosi dal commentare il mancato ritrovamento della pistola e quale possa essere stata la sorte dei macabri reperti strappati alle vittime, io condivido pienamente il giudizio finale espresso dall’amico Enrico Manieri: è mancato un metodo di analisi e di indagine che abbracciasse unitariamente tutti i delitti sin dall’inizio (e non a dieci anni di distanza dall’ultimo di essi), al punto di dovere poi ricorrere all’artificio di postulare l’esistenza di una banda di alcolizzati che andavano commettendo omicidi senza troppo precauzioni, come  a Scopeti, oppure di una sorta di loggia esoterica,  smentita tuttavia dalle pronunce giurisdizionali di Firenze e Perugia di quest’ultimi quattro anni.

Andava poi cercata la pistola secondo tutt’altre direttive, che ci siamo sforzati di precisare nel libro; occorreva ricostruire attimo per attimo la vita di Giancarlo Lotti e indagare su qualche altro personaggio rimasto nell’ombra; e soprattutto riconsiderare con la massima attenzione la data ingresso in Italia dei due turisti francesi e quella della loro morte, che non può essere giustificata con le argomentazioni della perizia medico-collegiale dell’epoca, assolutamente insoddisfacente per  le ragioni più svariate, per le quali rinvio alla lettura del libro.

Approfitto di questo breve spazio per ricordare, un’ultima volta, le vittime del delitto degli Scopeti, anzi di tutti questi duplici  delitti, le cui giovani vite furono prima spezzate con modalità tanto crudeli quanto assurde da un vigliacco assassino prima ancora che da uno psicopatico; e poi addirittura del tutto dimenticate, e proprio da parte di alcuni che, invece di occuparsene istituzionalmente,  commisero errori a catena oppure preferirono inseguire tesi indagatorie in grado di assicurare loro un certo successo professionale, ma non certo il raggiungimento della verità, che è sempre rimasta nascosta.

Nadine Mauriot nell'aprile del 1985

Nadine Mauriot nell’aprile del 1985, poco tempo prima dell’omicidio

Nadine Mauriot, vecchia foto usata per il riconoscimento