Pietro Maso è un uomo libero. Non senza polemiche.

masodi Valentina Magrin direzione@calasandra.it

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16 aprile 2013

17 aprile 1991: nella loro casa a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, vengono barbaramente uccisi i coniugi Antonio Maso e Rosa Tessari.  Tre giorni dopo vengono arrestati il figlio della coppia, Pietro Maso, di 19 anni, e tre suoi amici: Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato (quest’ultimo ancora minorenne). Per tutti loro l’accusa è di concorso in omicidio volontario. Un massacro in pieno stile “Arancia Meccanica”, compiuto allo scopo di impossessarsi dell’eredità dei Maso e condurre una vita agiata, tra locali notturni e belle donne. Maso viene condannato a 30 anni di carcere, Carbonin e Cavazza a 26 e Burato a 13.

Domani ricorre il 22esimo anniversario del delitto e, da ieri mattina, Pietro Maso è un uomo libero. Questa scarcerazione, dunque, non può che destare polemiche. Maso, infatti, non ha scontato per intero la sua pena, avendo usufruito dell’indulto e di 1.800 giorni di liberazione anticipata. Pietro Maso, che oggi ha 41 anni e una moglie, potrà dunque ricostruirsi una vita, e lo farà a Milano.

Per ricominciare ha deciso di scrivere un libro, “Il male ero io” (Mondadori), uscito guarda caso ieri, quasi a voler alimentare ancora di più il malcontento di una parte dell’opinione pubblica.

Eppure, è importante sottolinearlo, Maso in carcere c’è stato, e per parecchio tempo. Non si può paragonare, ad esempio, a quelle persone che ubriache perse investono e uccidono degli innocenti ed escono di galera (quando ci vanno) dopo qualche mese.

Pietro Maso ha commesso un delitto atroce – questo sì – quando non aveva ancora compiuto 20 anni. Poco più di un ragazzino, insomma. Possiamo concedergli il beneficio del dubbio e ipotizzare che forse, in tutti questi anni, il suo pentimento è stato sincero?

Nel nostro Paese non è prevista la pena di morte proprio perché il carcere dev’essere una sorta di “riabilitazione”. Tuttavia in molte persone “c’è ancora un’idea sotterranea vendicativa, dell’occhio per occhio, di restituzione dello stesso male che uno ha fatto, come se lo Stato si dovesse porre sullo stesso piano – ha dichiarato all’Ansa il Giudice di sorveglianza di Milano, Roberta Cossia, che ha materialmente firmato il fine pena per Pietro Maso – Non esiste alcuna fiducia nella possibilità di reinserire coloro che hanno commesso delitti gravi e nemmeno una comprensione del significato di reinserimento in seguito a un percorso effettuato durante la detenzione con le misure alternative”. “Spero anche – sottolinea il giudice – che la gente impari ad accettare che quando un castigo viene interamente espiato bisogna passare oltre, abbandonando l’istinto di aggiungere surplus di punizione non previsto”.

E allora proviamo a dare una possibilità a quest’uomo, che tanto ha sbagliato ma che, forse, potrà riscattarsi. I suoi poveri genitori, ne siamo certi, avrebbero voluto questo.

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