Carceri: il sovraffollamento si è molto ridotto.

Come va il sovraffollamento delle carceri italiane? Meglio, dice il Ministero della Giustizia, che ha diffuso delle cifre interessanti. Noi di CN vi avevamo parlato dello stato delle patrie galere qui e qui, sottolineando come ristrutturando le carceri esistenti si poteva fare posto a tutti i detenuti che abbiamo e che spesso vivono ammassati. Nel frattempo però il Governo ha dovuto dare un’accelerata, perché era successo un fatto clamoroso: la sentenza Torreggiani.

Gennaio 2013: l’Italia veniva giudicata colpevole, dall’UE, di aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). Sette detenuti delle carceri di Busto Arsizio e Piacenza, reclusi in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione, avevano detto basta e iniziato una battaglia legale. E l’avevano vinta. I giudici europei avevano così dato al governo e al Parlamento un anno di tempo per risolvere il problema: creando loro un casino non da poco.  Si prevedeva una mole di ricorsi pari alle cascate del Niagara. Così, sono venute fuori due leggi: la 146 del 2013, che ha istituito il Garante nazionale dei detenuti, e la 92 del 2014, che prevede sconti di pena o denaro ai detenuti reclusi in “condizioni inumane”. Alla Corte di Strasburgo questi rimedi sono piaciuti e quindi ha detto “no” ad una serie di ricorsi presentati da altri carcerati. E le tasche del Governo hanno tirato un sospiro di sollievo. A partire da questo fatto, e a dire il vero anche da altri successi prima, però, ci sono state importanti innovazioni nel nostro sistema penitenziario. Vediamole.

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Innanzitutto, negli anni un aumento dei posti c’è stato e non di poco: dai 42.000 del 2009 ai 49.000 del 2014. Il problema è che nel 2009 i detenuti erano esplosi a 62.000 (con punte di 68.000 nel 2010, quando eravamo i peggiori d’Europa, con la Serbia) e così, siccome non possiamo costruire mille carceri, si è scelto di agire su quattro vie. Una l’abbiamo appena vista: ristrutturare per creare altri posti. La seconda: aumentare la possibilità di beneficiare delle misure alternative, che infatti a gennaio 2012 coinvolgevano 22.000 detenuti e oggi ne riguardano 31.000. Che sono: l’affidamento in prova al servizio sociale (12.000 detenuti), la semilibertà (760), domiciliari (9.400), lavori di pubblica utilità (5.400), libertà vigilata (3.300), libertà controllata (180) e semidetenzione (8). La terza via è stata ridurre il numero dei reati che prevedono il carcere. La quarta: limitare il numero di persone che aspettano in carcere il processo di primo grado. Erano 12.000 a fine 2012, sono quasi 10.000 a fine 2014.

Alla fine di tutto questo, oggi ci ritroviamo che al termine del 2014 i detenuti sono scesi a 54.000. E la legge 92 prosegue su questa via: introduce il divieto di custodia cautelare (in carcere o ai domiciliari) in caso di pena non superiore ai 3 anni (eccetto che per alcuni reati, s’intende: mafia e terrorismo, rapina, estorsione, furto in abitazione, stalking e maltrattamenti in famiglia). Insomma: prendi 3 anni? Pena sospesa. E cioè: devi fare il bravo per cinque anni. Se non lo fai, finisci davvero dentro.

Infine, il Ministero ci dice che aumentano anche i detenuti lavoratori, che negli ultimi tre anni sono passati dal 21% al 26% del totale. Sono stati poi aumentati gli organici della Polizia Penitenziaria e ridotte le possibilità, per loro, di ottenere distacchi; stipulati 11 protocolli con le Regioni per potenziare l’accesso alle misure alternative alla detenzione ai detenuti con problemi di tossicodipendenza e i percorsi di inclusione sociale e reinserimento lavorativo per i detenuti. Li trovate qui.

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Oggi, dicono al Ministero, non ci sono detenuti che stiano in meno di 3 metri quadri. E ci sono molte nazioni che hanno un indice di sovraffollamento peggiore del nostro: la Francia,  il Belgio, l’Inghilterra, il Portogallo, solo per citarne alcuni. Il Ministro della Giustizia Orlando ha detto: «Il 2015 può essere l’anno in cui i posti disponibili nelle carceri coincideranno con il numero dei detenuti». E sarebbe ora.

di Fabio Sanvitale