Povero Pasolini: “La macchinazione” è un film inutile e confuso

Possiamo darvi un consiglio? Non ci andate. Chi scrive ci ha speso 4 euro: non li vale. “La macchinazione” è il film con Massimo Ranieri, diretto da David Grieco, che affronta i misteri della morte di Pier Paolo Pasolini. Ma dovete vedere come!

Confuso, delirante come un paziente con problemi psicotici, “La macchinazione” è un pessimo servizio alla Verità e non serve a nulla per chi vuole ancora sapere (e sono tanti) perché è morto Pasolini, con quale movente, e chi c’era quella notte all’Idroscalo con quel genio di Pelosi, l’Uomo delle Mille Versioni. Un film inutile e confuso. Proviamo, a fatica, a spiegarvi la trama. Prima scena: Pasolini fa sesso orale con Pelosi sotto la tangenziale. Buongiorno! Seconda scena: il poeta sta scrivendo l’ultimo libro, “Petrolio”; ha capito che dietro quello che sta accadendo in Italia c’è Eugenio Cefis, alla guida della Montedison. L’autore di un libro misterioso su Cefis, Steimetz, incontra lo scrittore, ma è tenuto sotto scacco dai Servizi che ascoltano tutto (nella realtà: nessuno sa con certezza chi fosse Steimetz e che dietro ci siano i Servizi è un’illazione dietrologica) e che così vogliono sapere cosa sta facendo lo scomodo Pasolini. Poi appare Sergio Placidi, che conosce la gente della Roma bene (nella realtà: era uno spacciatore), che sembra una specie di p.r. ante litteram a un battesimo in cui ci sono le facce del Potere Misterioso (funziona sempre, dà quell’aria di poteri occulti che piace e assolve). Una delle facce fa uno strano rito con un confetto. Poi appare Antonio Pinna, uno che guida forte, una macchietta, uno che veste sbagliato, che guarda l’Alfa Romeo GT di Pasolini sbavando come fosse il sedere di una donna, uno senza lavoro (nella realtà: aveva un’officina da meccanico e stava con la Banda dei Marsigliesi, era tipo da sequestri), che chiede continuamente a Placidi, modello cagnolino, cosa c’è da fare. Appaiono i fratelli Borsellino, per niente i ragazzini duri e tosti che furono nella realtà, due borgatari già visti che rubano le pizze di “Salò”, l’ultimo film di PPP. Nel frattempo Pelosi sente freddo e va a comprarsi un maglione e chi ti incontra? Quello lì, quel tipo che arriva sempre e ti fa “ahò, ma lo sai che c’hai la faccia giusta per fare il cinema?”. Gli fa un provino e qual è il testo? La confessione del delitto di “un frocio” fatta da “un pischello” (non ridete!). Ovviamente il regista è un tossico tenuto sotto scacco da? Placidi. Mentre PPP e Pelosi continuano a vedersi, tra liti e riappacificazioni, il piano per fare fuori lo scrittore va avanti e Ranieri sembra sempre troppo teatrale per essere vero. Arriviamo alla sera dell’Idroscalo: Placidi fa pippare coca a tutto il commando prima di partire, Pinna è il solito scemo (Placidi gli ha regalato il giocattolo, un GT, e lui va lì per assistere al pestaggio, così, per assistere), altri energumeni entrano in tutte le baracche (a viso scoperto, ovviamente) e pestano tutti per avere silenzio. Poi arriva PPP (che ha già incrociato i Borsellino e sa che non hanno le pizze. E che ci va a fare?). Cominciano a pestarlo, eccetera eccetera. Placidi dice in lacrime (!!!) a Pinna che deve investire con la sua GT Pasolini, quello lo fa. Scusate: non abbiamo capito a che servivano due auto uguali per uccidere un uomo solo. Ah, è vero: per confondere le tracce e le prove (bah).

E “Petrolio”? Il manoscritto da cui tutto è nato? Non doveva sparire? Mah, non si sa. Intanto Mangia, l’avvocato autonominato di Pelosi, si presenta a casa sua coi carabinieri (!!!!) e porta i genitori in luogo sicuro. Poi entra da padrone nella stanza dell’interrogatorio, prende a sberle quel poverino di Pelosi (che esita a recitare a memoria la parte che provò col regista a suo tempo) e consegna ai verbalizzanti la confessione già scritta, solo da ricopiare. E per fortuna che qui il film finisce.

Che dire? Premesso che gli eredi Mangia e Placidi (che è vivo) avrebbero tutti gli estremi per querelarlo per diffamazione, Grieco è riuscito a mischiare tutti i registri narrativi del mondo. Macchiettismo, realismo, commedia, fantasy. Venite, ce n’è per tutti! Manca qualcosa, però.

Perché raccontare la vita e la morte di Pier Paolo Pasolini (soprattutto la morte), volerne spiegare le ragioni, implica un’indagine, implica realismo. Ne avete trovato, in questa trama abborracciata, scombinata, scritta al risveglio dopo aver fatto tardi la sera prima? Che servizio alla verità avete trovato? Cosa sapete di più sull’Italia degli anni Settanta? Si esce dalla sala con una gran confusione in testa: sono stati tutti, quindi nessuno. Quella che viene spacciata come Verità su cui riflettere (il film verrà proiettato addirittura ai poveri studenti di Roma Tre) è al 90% un grappolo di supposizioni allo stato puro di Grieco, tutte da dimostrare.

Caro Grieco, avrai anche conosciuto da vicino Pasolini (cosa che rimarchi puntualmente nelle interviste), ma il tuo film è un’occasione sprecata per indagare davvero. Hai solo fatto un polverone di fotogrammi, aumentando la confusione che già esiste. Grazie, non se ne sentiva davvero il bisogno.

di Fabio Sanvitale