Sulla legittima difesa Salvini ci marcia?

Dopo l’episodio di Lodi, quello del ristoratore Cattaneo che ha sparato al ladro rumeno, c’è un gran parlare, soprattutto da destra, dei limiti della legittima difesa. CN ha deciso di vedere quali siano questi limiti e se, chiederne di più rigidi, sia effettivamente una buona idea o no.

Parliamo dell’articolo 52 del codice penale, quello che dice –in soldoni- che la legittima difesa è una di quelle situazioni che rendono lecito un comportamento che normalmente è un reato. Per non farlo essere un reato, ci vogliono cinque cose: deve esserci un diritto da tutelare (proprio o altrui), deve esserci la necessità della difesa, deve esserci un pericolo attuale, l’offesa deve essere ingiusta e bisogna fare attenzione alla proporzione tra difesa e offesa (altrimenti è omicidio volontario). E quindi, se un tizio entra nel mio giardino e io, per difendere casa mia, gli sparo immediatamente non appena lo vedo, è omicidio volontario. Il tizio, infatti, è entrato e ha violato la mia proprietà. Avrei dovuto sparare in aria o puntargli l’arma e metterlo così in fuga. Ho sparato subito, quindi c’è sproporzione netta. La prima cosa era metterlo in fuga. Ma se invece il tizio è armato o -attenzione- io credo sbagliando che lo sia; oppure gli urlo di andarsene e non fugge via e, anzi, mi punta un’arma o usa violenza contro di me oppure, semplicemente, continua ad avanzare minaccioso verso di me, allora se sparo io, ci sta. C’è tutta una serie di sentenze in questa direzione. Mi stavo difendendo.

Ok, ipotizziamo adesso, invece, che ci sia stata davvero una reazione sproporzionata. Che succede? E’ omicidio volontario, dicevamo, ma colposo, cioè il tipo meno grave punito dal nostro ordinamento. Il che già ci fa capire che nella legittima difesa in Italia si applica, in pratica, un trattamento di favore a chi ha sparato.

Esiste anche un’altra cosa, dal complicato nome di “legittima difesa putativa”: sta all’articolo 59 e si tratta di quando sparo di fronte ad una situazione di pericolo che oggettivamente non c’è, ma che a me, in buona fede, sembra che ci sia. E’ il caso classico della morte del giocatore della Lazio Luciano Re Cecconi, avvenuta nel 1977: il proprietario di una gioielleria che spara su un presunto bandito pensando sia una rapina e non sapendo nè che era uno scherzo nè riconoscendo Re Cecconi. Ovviamente non è punibile.

La Lega, però, aveva già fatto modificare l’articolo 52 nel 2006. Da quella data, è specificato che, in caso di violazione di domicilio o di luogo di lavoro, se l’aggredito reagisce sparando o in altro modo per difendere la propria o la altrui incolumità, i beni propri o altrui, “quando non c’è desistenza (cioè fuga) e anzi c’è pericolo di aggressione”, la reazione è proporzionata. Vale a dire, appunto: se mi entri in negozio o in casa, ti scopro, non scappi o, peggio, minacci di usarmi violenza, ti posso sparare. La Lega, dunque, ha già fatto modificare il famoso articolo 52, undici anni fa: e fino al massimo del limite ottenibile. Fino al massimo, perché l’Italia ha firmato una serie di convenzioni internazionali sui diritti umani, che le impongono dei limiti, che sono poi quelli attuali, quelli di cui stiamo parlando. La Lega sta insomma facendo un gran bordello sul nulla, perché la nostra legislazione sull’argomento non è modificabile più di tanto. E vogliamo sperare che Salvini lo sappia. Oppure, qualcuno gli spieghi che non è che ogni difesa può essere condiderata legittima a priori.

Il che non vuol dire, naturalmente, che i ladri sono autorizzati a entrare in casa nostra e dobbiamo stendergli il tappeto rosso davanti. Ci mancherebbe. Significa che se si sceglie di avere un’arma (ed è legittimo) bisogna sapere che per usarla ci vuole che il ladro, una volta che se la ritrova davanti al muso, invece di scappare, decida di continuare. Se lo fa, se solo ci minaccia, accetta il rischio di restarci secco. Problema suo.

Tra le altre cose, i principali casi di gente che s’è difesa dai ladri sparando, ultimamente, si sono chiusi quasi tutti con delle archiviazioni, per cui non si può nemmeno affermare che la magistratura perseguiti i derubati invece che i ladri. A parte la faccenda del ristoratore Mario Cattaneo –su cui le indagini sono ancora in corso, non tutto è chiaro- infatti, il benzinaio Graziano Stacchio, che il 3 febbraio 2015 intervenne e uccise chi stava rapinando una gioielleria ha avuto archiviata la sua posizione. E ci mancava altro: il suo caso era da esame di diritto penale. Rapinatori armati minacciano una commessa, lui che spara prima in aria, poi su un rapinatore ma solo in risposta ai suoi colpi di pistola. Non c’era da invocare nessuna legge speciale, era già tutto nel codice penale: e infatti Stacchio è libero. Idem per il gioielliere Rodolfo Corazzo, aggredito, minacciato e sequestrato con la famiglia da rapinatori. A un certo punto riesce a prendere la sua pistola, spara in aria, quelli gli sparano, lui risponde  e ne uccide uno. Libero. O come il pensionato Francesco Sicignano, che il 20 ottobre 2015 sparò, nel panico, contro una sagoma nera che era entrata nella sua cucina. Il ladro era disarmato, ma aveva in mano una torcia che a Sicignano sembrò una pistola. Si sentì minacciato e sparò. La Procura ha chiesto per lui l’archiviazione. Non è esattamente quello che chiede Salvini?

E quindi, tutto questo strepitare è quello che è: politica, voti, prepararsi alle elezioni puntando alla vostra pancia. Il codice penale c’è, i magistrati anche. I politici che barano, pure.

di Fabio Sanvitale