Marco Bergamo era un serial killer, non un mostro

E così, forse già lo saprete, è morto a 51 anni, per un’infezione polmonare, Marco Bergamo, il “Mostro di Bolzano”.  Scontava un mucchio di ergastoli a Bollate, per aver ucciso cinque donne: era un serial killer. Noi di CN vogliamo andare fuori dal coro e dirvi cosa ci insegnano la sua vita, la sua morte.  Al cinema ci fanno vedere che i serial killer non sanno smettere di uccidere, ma Bergamo (e non era il solo) mise 7 anni tra il secondo delitto e i successivi. Come la mettiamo? Se vogliono fermarsi e hanno un buon motivo per farlo, smettono. Altro che l’oscuro demone che “non mi fa smettere di uccidere”! Al cinema hanno sempre lo stesso modus operandi: Bergamo uccise due volte in casa e tre in auto. Al cinema il serial killer è folle, inseguito da incubi dell’infanzia, strane manie. Bergamo era sano di mente, aveva una faccia inespressiva, una vita ordinata, scialba. Eppure… I luoghi comuni non servono, la realtà è questa. Ma c’è dell’altro.

Facciamo un enorme sforzo per tenere i Marco Bergamo fuori dalla porta, ma loro tornano e continueranno a tornare. Non saranno le nostre impaurite definizioni a tenerli lontani, a evitare la verità. La verità è che non possiamo definirli “mostri” perché è troppo facile. Certo che hanno commesso reati orribili. Certo. Ma è proprio chiamarli così che è troppo comodo. Spettacolare, buono per i titoli dei tg, ma  comodo. Ci fa allontanare lui, Stevanin, Bilancia, Giudice, Chiatti e tutti gli altri dalla realtà: quella di persone capaci di intendere e di volere. Per perizia. Capaci di intendere e di volere, proprio come voi. Ma più cattivi, più insensibili. Ci fa pensare che i Marco Bergamo non siano responsabili per quello che fanno, che sia colpa del loro oscuro passeggero. Che siano dunque disumani: e invece le perizie ci dicono che responsabili lo sono, fino in fondo, come noi. La natura umana contiene la violenza, l’odio, la strage. In guerra succede di tutto: ma lì ti danno una medaglia se ne sbudelli cento. Se lo fai nella vita reale, sei un serial killer. Dalla violenza domestica a Marco Bergamo c’è un’infinita gamma di prevaricazioni, abusi, lividi, ferite, omicidi che l’essere umano sa compiere benissimo e in piena responsabilità, volutamente, coscientemente; e che il nostro gatto non farebbe mai. Perché non è umano, lui. Noi, sì.

D’altronde, tutta la storia di Marco Bergamo va in questa direzione.  Operaio, “una via di mezzo tra il chiuso e il timido” (così si definiva), non ama il rumore ma il silenzio dei boschi. Aria assente, permaloso, dice chi l’ha conosciuto. Preciso, ordinato, tiene tantissimo alla sua Seat Ibiza rosso fiammante. Gli piace Tex Willer e la storia dei castelli. Possiede quindici coltelli. Ama la pornografia. Ha un fratello che è l’opposto. Non è forse il ritratto di tanti di noi? Però, ha ucciso 5 donne: Marcella Casagrande (15 anni, nella foto), Annamaria Cipolletti, Renate Rauch, Renate Troger, Marika Zorzi.

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Qualcosa che non è a piombo c’è: per esempio che a 26 anni ancora era senza ragazza. O che si masturbava sul balcone di casa, quando ne passava una. O che faceva telefonate oscene. O che era ostile verso le donne. E impotente. I genitori gli stanno sempre addosso. Insomma, problemi col sesso e le donne di sicuro, ma da qui a diventare un serial killer ce ne passa. Era zeppo d’ansia e di una violenza fredda dentro di lui, che esplodeva ogni tanto: a dimostrarlo c’era il sadismo delle tante coltellate alle sue vittime. Perché ha ucciso? Perché gli dava piacere, per distruggere l’oggetto temuto e odiato: la donna (“è un essere ignobile, egoista, che usa l’uomo e quando è consumato lo butta via”). Uccideva sapendo di uccidere, nessuna voce, nessun blackout dei ricordi, usciva col coltello in tasca, cancellava le tracce. Uno che stava bene con se stesso, senza rimorso. Uno che aveva lottato tra la parte che voleva ammazzare e quella che voleva essere scoperta per 7 anni e che aveva scoperto che uccidere una donna era l’unico modo per controllarla, almeno per un po’. Appunto, l’aveva deciso. Altro che “impulso irresistibile”! Perché siamo questo, capaci di scegliere tra il bene e il male. Come Marco Bergamo, che invece di provare a curarsi scelse di diventare un serial killer.

di Fabio Sanvitale