di Chiara Camerani (Psicologa, criminologa e direttrice Cepic) direzione@calasandra.it
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(LEGGI QUI LA STORIA DI LUCIANO LUBERTI, IL BOIA DI ALBENGA) La letteratura descrive gli psicopatici come <<Predatori intraspecie che usano fascino, manipolazione, intimidazione e violazione per controllare il prossimo e soddisfare i propri egoistici bisogni; mancando di morale ed empatia, riescono freddamente a prendere e a fare ciò che vogliono, violando norme e divieti sociali senza il minimo senso di colpa o rimpianto>> (Robert Hare).
Manipolazione, menzogna patologica, assenza di empatia, povertà affettiva, tendenza alla noia, delinquenza giovanile, esagerato senso di autostima, versatilità criminale: sono alcuni dei principali tratti che identificano uno psicopatico e combaciano perfettamente con la figura di Luciano Luberti. Spesso la nostra “sete mediatica” di Serial Killer ci porta a dimenticare lo studio e l’analisi di criminali che per freddezza e crudeltà non hanno nulla da invidiare ai classici assassini seriali.
Si presentano come soggetti con personalità sadica e forti tratti antisociali che si mescolano a sadismo sessuale e trovano sbocco nella scelta di un contesto sociale e lavorativo che ne consente la massima realizzazione.
Personalità sadica e sadismo sessuale sono due condizioni patologiche che non sempre si manifestano nello stesso individuo. Una personalità sadica esibisce comportamenti crudeli e aggressivi in ambito familiare, sociale e/o lavorativo. Nella relazione tende a stabilire una dominanza ed è privo di rispetto ed empatia verso gli altri. Subisce il fascino della violenza e trae piacere dall’umiliare, opporsi agli altri, infliggere abusi fisici e psicologici. In questo contesto il sesso può non comparire oppure assumere aspetti di violenza e sottomissione che rivestono però una funzione strumentale, come parte del processo di affermazione del potere e del dominio, da cui il soggetto trae rassicurazione e soddisfazione psicologica. Ciò che è importante sottolineare è che il fine di un simile comportamento non è la soddisfazione sessuale, ma l’affermazione di sé.
Parlare di sadismo sessuale, invece, implica la presenza di una relazione tra sofferenza inflitta e piacere sessuale che ne deriva. L’esercizio della violenza e dell’umiliazione ai danni di una vittima procurano al soggetto eccitazione e soddisfacimento sessuale e sono attuati con questo scopo.
In base a quanto detto, normalmente, andremo ad escludere la diagnosi di sadismo sessuale se gli atti crudeli avvengono allo scopo di estorcere informazioni in quanto, generalmente, non sono accompagnati da eccitazione. Le torture inflitte durante interrogatori o situazioni di conflitto, infatti, pur includendo aree sessuali o atti crudeli, hanno un fine di utilità pratica o contingente: ottenere confessioni e informazioni.
A questo punto si pone il problema di definire soggetti come Luberti che, oltre a mostrare una personalità sadica e tratti di sadismo sessuale, svolgono anche una attività che giustifica queste caratteristiche. Accanto al soggetto che agisce come sicario o torturatore al semplice scopo di ottenere un vantaggio concreto (denaro, status…) senza trarne piacere, è presente un più esiguo gruppo di criminali che sceglie una attività perché sintonica col proprio io e con le proprie esigenze perverse. Guadagno o vantaggi materiali, a questo punto, costituiranno un tornaconto aggiuntivo e collaterale alla primaria fonte di soddisfazione: l’uccisone, la tortura e lo stupro.
Per esprimere il concetto con le parole di un sadico “Lo scopo è la sofferenza perché non c’è maggior potere su un’altra persona di quello derivato dall’infliggerle dolore, dal forzarla a subire sofferenze senza essere in grado di difendersi. L’essenza dell’impulso sadico, quindi non è altro che il piacere della completa dominazione su di un’altra persona”….”stava fremendo dal dolore, e mi è piaciuto. In quel momento stavo unendo il culmine del godimento sessuale con lo stupro ed il culmine del mio potere con la paura la somma di tutto ciò è al di la di ogni spiegazione… io ero vivo per il solo scopo di causare sofferenza e riceverne gratificazione sessuale. Mi stavo godendo il dolore come anche il sesso…” (Mike De Bardeleben)
Dalle narrazioni dei superstiti di Albenga, l’attività di Luberti sembra includere anche il sadismo sessuale. Il compiacimento che provava nella sua attività di torturatore, infatti, era noto. Come lo era la sua sete di crudeltà. Luberti non mostrerà mai pentimento o rimorso per gli atti commessi, anzi, durante una intervista televisiva del 1997 (organizzata dal sociologo Sabino Acquaviva), ricorderà con malcelato orgoglio i tempi della Wehrmacht.
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