Quarta e ultima parte dell’interessantissima inchiesta del nostro Fabio Sanvitale sul disastro aereo di Montagna Longa. Grazie all’aiuto del giornalista aeronautico Pietro D’Intino, Sanvitale ci svela quella che potrebbe essere la realtà dei fatti.
di Fabio Sanvitale
(…LEGGI LA TERZA PARTE) Pietro, rimettiamo a posto le tessere del mosaico. Se i buchi sull’ala sono proiettili, AZ112 fu oggetto di un attacco aereo nei pressi di Punta Raisi da parte di velivolo militare di nazionalità sconosciuta. Questa è l’ipotesi che sembra emergere guardando la foto. Tuttavia i dubbi sono molti. Innanzitutto, se voglio tirar giù un aereo mitragliandolo magari lo faccio in mare, non mentre è arrivato, praticamente davanti all’aeroporto ed a tutta Palermo, no?
Dirò di più: io non credo affatto che si tratti di colpi di mitragliatrice. Guardiamo i fori. Colpi netti, questo fa una mitragliatrice. Invece i buchi sul profilo alare sono molto slargati intorno al presunto foro di proiettile. Lo stesso profilo è molto ammaccato e questo è decisamente più compatibile con l’impatto sulle pietre della montagna. D’altronde, mitragliare un DC8 non basta a farlo cadere, è un aereo troppo grosso…e nessuno dei testimoni di quella sera ha mai parlato di un aereo militare; e poi, se fosse, ci sarebbero altri fori sulla carlinga: beccare il solo bordo d’attacco dell’ala è praticamente impossibile.
Se invece si tratta di una bomba, quando fu messa a bordo? Parto da qui perché più ci penso e più mi sembra che l’ipotesi non regga. I parenti di alcune delle vittime chiedono la riesumazione dei loro cari, per cercare eventuali tracce di esplosivo. Ma vediamo che accadde quel 5 maggio: una piccola ricostruzione ci aiuta a capire se l’ipotesi ha senso o no. L’aeromobile I-DIWB decollò alle 7 da Fiumicino per Linate e successivamente, da qui, per Londra Heatrow. Quindi tornò a Fiumicino, dove ci fu il cambio di equipaggio. Alle 16.42 Bartoli e Dini decollarono per Catania, con 25 minuti di ritardo. Alle 19.28 l’aereo, adesso con 43 minuti di ritardo, ritornava a Roma, pronto a imbarcare i passeggeri diretti a Palermo Punta Raisi. Alle 20.35 il volo era in pista di rullaggio ed aveva ridotto il proprio ritardo a 25 minuti sull’orario previsto di partenza. Perché tutte queste cifre? Perché se qualcuno avesse voluto mettere una bomba a bordo avrebbe dovuto farlo in questo lasso di tempo: grosso modo tra le 19.30 e le 20.30, quasi certamente mettendo una bomba nella valigia di qualche ignaro viaggiatore.
D’altronde, sono anni in cui non esistono metal detector e controlli e, se vi sembra assurda un’idea del genere, sappiate che solo pochi mesi dopo, il 16 agosto del ’72, un aereo della El Al in volo tra Roma e Lod (Tel-Aviv) sarebbe riuscito ad atterrare dopo che c’era stata un’esplosione a bordo. I palestinesi, proprio a Fiumicino, avevano imbarcato una bomba, mettendola nella valigia di due ingenue turiste inglesi conosciute in spiaggia…
In questo modo AZ112 sarebbe esploso in volo. Invece no, viene giù quando ormai sta atterrando. Quale attentatore sbaglierebbe così tanto a regolare il timer? AZ112 era in ritardo, ma un timer si regola molto prima di affidare la bomba al famoso “ignaro passeggero”, molto prima di entrare in aeroporto. E, quando lo si fa, ci si basa sull’orario ufficiale del volo, non sul ritardo: che è un fatto eventuale e non certo, al punto che potrebbe anche essere (come in effetti fu nel nostro caso) recuperato tutto o in parte. E se l’ipotetico attentatore si fosse allora basato sull’orario ufficiale, perché la bomba è esplosa alle 22.23, quando l’aeromobile, da tabella di marcia, avrebbe dovuto già essere bello che vuoto e nell’hangar di Punta Raisi? E poi, bomba di chi? Dici bomba e pensi ai fascisti, dici Sicilia e pensi alla mafia. E allora proviamo a supporre che questa accoppiata sia quella giusta. E’, infatti, l’ipotesi del Rapporto Peri.
Indagando su alcuni sequestri di persona, il commissario Peri, a Trapani, aveva scoperto che dietro c’era un alleanza tra mafia e gruppi fascisti di cui faceva parte Pierluigi Concutelli. I neri avevano bisogno di quei sequestri per finanziarsi. Mentre svolgeva la sua inchiesta, Peri si imbattè in un teste che gli rivelò che l’aereo sarebbe venuto giù per un atto insieme di terrorismo fascista e di vendetta mafiosa verso il giudice Alcamo. Ora, non si può non osservare che all’epoca la mafia avrebbe eliminato Alcamo sparandogli, non facendo saltare in aria lui e tutto l’aereo. Tanto vero che la prima autobomba mafiosa arriverà solo nel 1983, quando ne sarà bersaglio il giudice Rocco Chinnici. Esattamente un anno prima il disastro di Montagna Longa, il procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Scaglione era stato assassinato a colpi di pistola: non a caso. E poi, non si capisce perché la mafia nel 1972 avrebbe dovuto partecipare ad una strage di destra; strage che non è nemmeno stata rivendicata. Che gliene veniva? È probabile, insomma, che il teste di Peri abbia solo cercato di accreditarsi come pentito attendibile sparando grosso, nel tentativo di venire a patti con la polizia e guadagnarci qualcosa, forse alleggerire la propria posizione. D’altronde, in tanti processi e tante inchieste svolte in tutt’Italia e per quarant’anni sulla destra eversiva, possibile che mai nessuno abbia detto una mezza parola su Montagna Longa, facendo intravedere questo scenario?
Una bomba, poi, avrebbe fatto precipitare frammenti dal cielo verso terra: e non ci sono, nell’area antecedente il punto d’impatto. Lo smembramento dei corpi può essere prova di un’esplosione a bordo? No, non credo, risponde Pietro. Le condizioni dei corpi sono quelle di un impatto molto forte e il risultato dell’esplosione dei 20.000 kg residui di kerosene dei serbatoi. Alcuni corpi sono integri, altri smembrati, ma d’altronde anche a Ustica era lo stesso. E poi la foto, dall’alto, del relitto al suolo è molto esplicita: collisione radente con il terreno. Una specie di atterraggio di emergenza senza carrello su terreno accidentato, tanto per intenderci. Ma non era certo un tentativo di atterraggio!
A questo punto resta solo la verità: la responsabilità del radiofaro e, forse, la mancata conoscenza da parte dei piloti della sua nuova posizione. La componente umana è sempre presente, sia nei piloti che nel personale di terra. Non bisogna dare mai nulla per scontato: a volte un eccesso di sicurezza (gli americani lo chiamano complacency) è il primo anello della catena di eventi che portano al disastro.
E tutto questo ci fa vedere anche la faccenda della scatola nera nella sua giusta luce. Una coincidenza. Difficile capire con esattezza perché, quando l’aprirono, aveva il nastro strappato, ma qualcosa si può dire. Il nastro era stato installato il 30 aprile precedente ed aveva funzionato per 7 ore prima di incepparsi, quindi non stava più funzionando dal 1° maggio. Né Bartoli né Dini avevano modo di accorgersi del guasto dell’apparato che sarebbe stato controllato, da programma, solo il giorno dopo. Ora, però, che abbiamo scartato tutte le altre ipotesi possiamo riportare l’episodio della scatola nera nella sua giusta luce. Una coincidenza, un guasto, qualcosa che può essere visto con l’ombra del sospetto oppure no, ma che torna ad essere quello che è: il Caso che interviene e depista. In fondo, si trattava non di un oggetto magico, ma di un apparecchio meccanico e che, come tale, poteva incepparsi.
Ci sono, insomma, alla fine di questa indagine, una serie di risposte che posso dare con molta sicurezza.
Purtroppo, il dolore ha portato a vedere scenari che non esistono. Dolore che, mischiandosi con la relazione di una Commissione civile troppo veloce ed un’inchiesta, come quella Peri, che apriva ad altri scenari, si è alimentato di domande sempre più grandi. Tutto questo è legittimo. Ma bisogna rassegnarsi. Montagna Longa non racchiude nessun mistero, non è un’altra Ustica. È stata solo una notte in cui si sono combinati apparecchi che non funzionavano con due piloti che forse non sapevano una cosa indispensabile.
Una maledetta, lunghissima notte del maggio di un anno lontano. FINE
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