di Fabio Sanvitale
In quello strano paese chiamato Italia esistono anche le Stragi Dimenticate. Non omicidi, ma stragi: e il fatto strano è che la loro proporzione è tanto più vasta in termini di vittime quanto l’oblio in cui sprofondano, anno dopo anno. Così è, curiosamente ma non troppo, per una serie di stragi che hanno per protagonisti degli aeroporti.
Quello di Fiumicino, dove politicamente non ci fa comodo ricordare le due stragi palestinesi del 1973 e del 1985: e quello di Punta Raisi, cioè Palermo, dove con sorpresa gli italiani sono stati informati solo recentemente che nei pressi è avvenuta una strage nell’anno 1972. Ne ha parlato “Chi l’ha visto” e poco più. Sembra paradossale, ma è così: l’enormità di 115 vittime e nessuna verità ufficiale. Solo una croce su una montagna; e silenzio intorno.
Vediamo, allora, come andarono le cose la sera del 5 maggio 1972 e perché un disastro aereo di quelle proporzioni –cioè il più grave mai avvenuto nella storia dell’Alitalia- potrebbe essere qualcosa di molto, molto di più di un incidente.
Che giorno era il 5 maggio 1972? Il giorno in cui a Milano viene assegnata a Giorgio Strehler la direzione del “Piccolo”. E’ anche il giorno in cui, a Pisa, durante un pestaggio da parte della polizia, viene ucciso l’anarchico Franco Serantini.
Poche ore dopo, in un cielo notturno dalle condizioni meteorologiche ottime, da Roma Fiumicino decolla il volo Alitalia AZ 112, Roma-Palermo, con 115 persone a bordo, tra equipaggio e passeggeri. Molti dei quali ritornavano in Sicilia per votare, due giorni dopo. Un altro mondo, non c’è che dire: oggi siamo all’astensionismo, ma allora i ragazzi dell’ anarchia, così come i cittadini che prendevano gli aerei, credevano davvero di poter cambiare la società con le loro idee. E’ un volo come tutti gli altri, comunque: parte con venticinque italiani minuti di ritardo, ne dura circa cinquanta, niente di speciale.
Se non fosse che, ormai arrivato in vista di Punta Raisi, quando l’aeroporto era semplicemente oltre una montagna, con una manovra che non aveva nessun senso, il DC-8, alle 22.23, prese in pieno il crinale di quel rilievo, dove non sarebbe dovuto passare: è il disastro aereo di Montagna Longa,il più grave mai accaduto in Italia. Non c’è abitante delle vicinanze –dal versante di Carini e non solo- che non ricordi esattamente dov’era e cosa stesse facendo quella sera: perché sentire un boato immenso, vedere la montagna prendere fuoco, vedersi scatenare l’inferno è qualcosa che non dimentichi per tutta la vita. Come non hanno dimenticato i parenti delle vittime, che si sono sentiti raccontare, in questi anni, delle versioni francamente scadenti sul perché di quella tragedia.
Non esistono, oggi, commemorazioni ufficiali; articoli sui giornali; quello che è successo il 5 maggio 1972 non figura nell’elenco delle stragi italiane. Perché? Perché il processo si concluse dando la responsabilità ai piloti, per non aver rispettato le procedure di avvicinamento previste per l’aeroporto di Palermo. Colpa dei piloti, dunque; ma anche, si disse, colpa di un aeroporto insicuro come Punta Raisi; così come, a caldo, si disse anche che i piloti avevano bevuto. Ma siccome, come vedremo, nessuna di queste spiegazioni è quella giusta, la spiegazione vera non c’è. Restano 115 morti che, dal 1972, chiedono verità. E non è poco, davvero.
Proviamo a ragionare, allora: il crinale di Montagna Longa era, ed è, a 935 metri d’altezza. Non è chiara, per quanto sembri strano, la rotta d’avvicinamento dell’aereo: vedremo il perché andando avanti in questa storia. Dobbiamo per forza, a questo punto, spiegare una piccola faccenda a proposito di volo aereo. Per andare da qui a lì, diciamo da Roma a Palermo, un aereo segue una invisibile via nel cielo, di cui conosce le coordinate. E questa è l’aerovia. Ma non è detto che faccia sempre la stessa strada, ogni volta. Le condizioni meteo, la presenza di esercitazioni militari nell’area, il traffico aereo del momento, l’essere o no in orario possono fare sì che si scelga –o venga imposto da terra- un percorso diverso. Ma qualunque sia il percorso seguito in quella notte di maggio dall’ AZ 112, una cosa è certa. Guardate la cartina. Per mettersi in linea con l’aeroporto di Punta Raisi, provenendo da nord, cioè da Roma, tutto bisognava fare, tranne che andare dritto. E invece, l’aereo andò esattamente dove non doveva, cioè dritto, oltre l’aeroporto, come se non ci fosse nessuno ai comandi. I resti dell’aereo, bruciati sulla montagna, ci dicono che i motori erano a pieno regime, che l’aereo stava planando e che i flap, appunto, erano estesi a 25°. D’accordo, tutto bene: ma perché è andato dritto? E qui viene il bello.
Se c’è una prima cosa che non torna, infatti, è la superficialità della prima fase dell’inchiesta: si disse subito, dicevamo, che i piloti avevano bevuto. Ma Paola, la moglie del primo ufficiale Bruno Dini, dice –e non da oggi- che suo marito non beveva proprio e meno che mai nei giorni in cui volava. L’autopsia, poco dopo, avrebbe smentito infatti la presenza di alcool nel sangue dei piloti.
Allora la colpa passò all’aeroporto (al suo direttore ed ai funzionari di Civilavia che lo gestivano) che non era dotato di tutte le misure di sicurezza necessarie a gestire il volo aereo (per dirne una: era risaputo, all’epoca, che il radiofaro desse misure inattendibili: si trattava di uno strumento che –in anni in cui il GPS era nel libro dei sogni- trasmetteva un segnale radio che consentiva agli aerei, seguendolo, di determinare la posizione dell’aeroporto e quindi di atterrare in maggior sicurezza. Ogni radiofaro era riconoscibile perché operava su una frequenza soltanto sua), il che voleva dire dare la colpa a nessuno. Al fato, al caso, all’errore umano.
A bordo dell’ aereo c’erano personaggi noti: il regista Franco Indovina, che per prendere l’aereo bruciò tre semafori rossi; e soprattutto il Presidente del Tribunale di Palermo, Ignazio Alcamo, che qualche giorno prima aveva spedito al confino la moglie di Totò Riina ed un noto costruttore palermitano. Ecco, la sua presenza a bordo c’entra qualcosa?
Qualche tempo fa qualcuno s’è accorto, riguardando le 300 fotografie scattate dai carabinieri il giorno dopo, che l’ala destra del DC8 presentava, proprio sul bordo anteriore, dei fori, precisi, grandi, tondi: fori che se non sono di proiettile, poco ci manca. Fori che nessuno ha valutato, nel 1972. Fori che fanno pensare a qualcos’altro: un attentato. Quella foto l’ha scoperta la nipote di una delle vittime del disastro, Erminia Borzì, che si è sciroppta tutti gli atti dell’inchiesta assieme allo storico Giuseppe Casarrubea ed all’avvocato Ernesto Pino. E che ha quindi chiesto di riaprire le indagini alla Procura di Catania.
Anche perché, come ricorda Casarrubea: “Quel pomeriggio c’era un’esercitazione della Nato sui cieli siciliani”. Verso le 17 di quello stesso pomeriggio, esaminando infatti le comunicazioni radio tra altri velivoli sulla stessa aerovia, c’è un Notam (che in gergo aeronautico è un avviso generale, per tutti) che indica di volare in un certo spazio aereo tra Catania e Ponza, perché è in corso un’esercitazione aeronavale Nato chiamata “Dawn Patrol”. Ora, di qui a dire che lo scenario è sinistramente simile ad Ustica ce ne corre, ma la verifica delle possibili implicazioni di tutto questo è davvero il minimo che si possa fare.
Insomma, se i piloti erano esperti e non era certo la prima volta che andavano a Palermo, se il meteo era buono, se il DC8 era un aereo molto affidabile –peraltro in servizio in Alitalia fino al 1977- come diamine è venuto giù il volo AZ112?
Ne parleremo ancora nelle prossime puntate, in cui scopriremo cosa accadeva sulle montagne di Cinisi; parleremo di un vice questore assai cocciuto; di una scatola nera proprio strana; e di altre cose che lasciano in bocca il sapore strano del Mistero. CONTINUA…
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