Caso Marrazzo: morte Cafasso, a giudizio i medici legali

Caso CafassoGiudizio immediato per i due medici legali che effettuarono l’autopsia di Gianguerino Cafasso, il pusher coinvolto nel caso Marrazzo. Per Stefano Moriani e Mauro Iacopini, consulenti della Procura che svolsero gli accertamenti clinici, l’accusa di “falso in atto pubblico”. I due, secondo l’atto del pm Eugenio Albamonte, dissero di aver effettuato tutta una serie di accertamenti sul corpo: ma dalla seconda autopsia non risulterebbero gli esami dichiarati. Non sarebbe stato effettuato l’esame della scatola cranica, ma solo dei prelievi istologici e verifiche sul cuore, mentre gli organi interni erano ancora collegati tra di loro.

Per i medici l’interdizione dall’attività professionale e da quella da pubblico ufficiale per due mesi, mentre è attesa l’udienza al riesame per il 28 febbraio. I due sostengono inoltre che sulle mancanze riguardanti la consulenza ci sarebbe unicamente un errore di redazione.

IL CASO – Durante il mese di luglio del 2009 il governatore della regione Lazio, Piero Marrazzo, viene sorpreso in compagnia di una transessuale in un appartamento di via Gradoli, a Roma. La notizia esce il 23 ottobre del 2009: Marrazzo sarebbe stato ricattato da quattro persone, tutte appartenenti all’arma dei Carabinieri, attraverso un video che mostrerebbe un incontro tra il Governatore ed una transessuale, con apparente presenza di sostanze stupefacenti. Secondo le ricostruzioni, i carabinieri si fecero consegnare da Marrazzo il portafoglio contenente, oltre a una somma di denaro, i documenti di identità. Dopo aver inizialmente negato il rapporto con la trans, Piero Marrazzo si dimette dall’incarico, definendo quanto accaduto come un rapporto occasionale, mentre la transessuale avrebbe dichiarato di frequentarlo da sette anni.

Il 12 settembre Gianguerino Cafasso muore in un albergo di via Salaria. I primi accertamenti stabiliscono come causa del decesso un arresto cardiaco per overdose a seguito di assunzione di droga. Si sarebbe trattato di una piccola quantità di cocaina mista a moltissima eroina, novocaina e lidocaina. L’uomo era noto negli ambienti come il protettore dei trans e spacciatore di droga. Era inoltre stato indicato come “il confidente” da un appartenente al gruppo dei carabinieri che ricattò Marrazzo, ovvero come colui che fece girare il filmato di via Gradoli. La Procura di Roma contesta l’accusa di omicidio volontario al maresciallo della Compagnia Trionfale Nicola Testini, già indagato di complicità con i due colleghi che agli inizi di giugno 2009 fecero irruzione nell’appartamento di via Gradoli.

L’altro carabiniere Luciano Simeone avrebbe però ammesso di essere stato lui a girare il video per incastrare l’allora presidente della Regione Piero Marrazzo. La figura di spacciatore e protettore viene inoltre smentita dai genitori di Gianguerino Cafasso: per loro il figlio era estraneo alla vicenda. Il padre sosterrà in seguito che l’uomo, nei giorni antecedenti alla sua morte, aveva il timore di essere seguito da sconosciuti. Ai primi di luglio era stato però Cafasso a contattare due giornaliste del quotidiano Libero per tentare di vendere il video. Il suo ruolo è dunque ancora da chiarire.

Il 20 novembre Brenda, transessuale coinvolta nello scandalo, muore soffocata nel suo appartamento in via dei Due Ponti, a causa di un incendio scoppiato nella notte. L’autopsia confermerà l’asfissia. Nell’appartamento vengono ritrovati il suo computer bagnato nel lavandino e alcune valigie vicino alla porta chiusa. Secondo testimonianze, Brenda voleva partire per il Brasile per allontanarsi dal caso Marrazzo.

Il 19 aprile 2010 la Corte di Cassazione dichiara il governatore Piero Marrazzo vittima di un complotto organizzato dai Carabinieri infedeli.

Nel settembre del 2010 viene riesumata la salma di Gianguerino Cafasso per una seconda autopsia.

Nel novembre del 2010 il Gip del tribunale di Roma concede gli arresti domiciliari a Nicola Testini, il maresciallo dei carabinieri che per la morte di Gianguerino Cafasso era accusato di omicidio volontario premeditato. La procura di Roma impugnerà il provvedimento. ”Mancanza di indizi”, così il giudice ha motivato la decisione. Cafasso sarebbe morto per le precarie condizioni di salute in cui versava, per le aritmie cardiache a cui era soggetto.