Chi ha ucciso Simonetta Ferrero? Storia di un delitto rimasto impunito. Seconda parte

 

cattolicadi Daniele Spisso

(LEGGI LA PRIMA PARTE…) Un delitto assurdo, orrendo, inspiegabile: Simonetta è stata aggredita mentre si trovava nei bagni femminili della scala G del complesso universitario. Qualcuno, armato di un coltello, le ha assestato 44 colpi con una furia impensabile, fino a massacrarla. Prima di fuggire via, si è sciacquato ad un lavandino, lasciandolo con il rubinetto aperto.

Perchè questo crimine? Forse perchè Simonetta voleva sfuggire ad un tentativo di violenza carnale? Può darsi: l’autopsia non ha rilevato tracce di violenza carnale sul corpo. E’ successo per un tentativo di rapina finito male? No: degli oggetti personali della vittima, non manca nulla dalla scena del delitto. La polizia, infatti, trova tutto ciò che Simonetta aveva con sé quella mattina: la borsa, un foulard fantasia, articoli di profumeria incartati, un campione di stoffe, un dizionario italiano-francese, 3000 lire, 300 franchi francesi. C’era qualcuno, nella vita privata di Simonetta, che poteva odiarla a tal punto da desiderare di ucciderla? Assolutamente no: le indagini spaziano a 360 gradi e viene ricostruita la vita di Simonetta da cima a fondo, senza trovare nulla.

Simonetta è una brava ragazza e conduce una vita normalissima. Non ha nè un fidanzato nè corteggiatori che le stanno intorno. Dopo essersi laureata (nel marzo 1968) ha trovato un impiego presso il centro laureati della Montedison, in piazzale Luigi Cadorna 5, a Milano: seleziona i laureati che fanno domanda per prendere servizio all’interno dell’azienda Montedison. La polizia cerca di scoprire se possono essere nati contrasti nel suo ambiente di lavoro: se poteva averla presa in odio qualche candidato respinto alle selezioni gestite da Simonetta. Ma niente. Anche questa pista, in breve tempo, cade.

La polizia segue anche un’altra ipotesi: Simonetta poteva avere un appuntamento con qualcuno presso l’Università Cattolica, quel sabato mattina? è da escludere: Simonetta conosceva molto bene l’ateneo perchè è proprio presso questo che aveva conseguito la laurea nel marzo 1968. Ma dopo di allora, vi aveva fatto ritorno solo in una occasione: circa un mese prima di essere uccisa, Simonetta era tornata alla Cattolica per fare un favore ad una sua amica, e cioè ritirare alcune dispense universitarie che la sua amica aveva precedentemente prestato a degli studenti. Poi basta, niente altro. Tra le commissioni che Simonetta doveva sbrigare quel sabato mattina, non era assolutamente prevista una tappa presso l’ateneo dove è stata uccisa.

Gli inquirenti arrivano a convincersi del fatto, giunti a questo punto, che Simonetta potrebbe essere stata uccisa da uno sconosciuto: un tizio psichicamente disturbato che l’ha notata casualmente in strada, quel sabato mattina, l’ha seguita e poi l’ha furiosamente aggredita e uccisa nel momento in cui la vittima si è trovata, sola con lui, nei bagni femminili della scala G dell’università. E’ possibile, abbastanza verosimile.

Però c’è una domanda fondamentale da doversi porre: perchè Simonetta si trovava in quei bagni femminili se, quel sabato 24 luglio mattina, non doveva recarsi presso l’università? C’è una sola risposta possibile: strada facendo, durante lo svolgimento delle proprie commissioni personali, Simonetta potrebbe aver avuto bisogno di un bagno. Essendosi trovata a pochi isolati di distanza dall’università (che tanto conosceva bene), può aver preferito fare una momentanea deviazione (prima di recarsi dal tappezziere di via Luini, dal quale non arrivò mai) imboccando la strada dell’ateneo. E portandosi nei bagni di un locale-università che conosceva altrettanto bene. E’ una considerazione avvalorata dal fatto che, in sede autoptica, la vescica della ragazza fu trovata vuota dai medici legali.

Il delitto di Simonetta Ferrero non è dunque un caso facile per la polizia: perchè l’assassino è probabilmente un balordo ed un violento ma è anche un individuo che non ha nessun legame con la vita privata della vittima. Individuarlo è compito arduo. All’epoca, inoltre, non esistevano ancora le potenzialità raggiunte oggi dalle scienze forensi: non erano neanche lontanamente immaginabili, 41 anni fa. E quindi non era possibile individuare quelle tracce organiche invisibili lasciate da un assassino indosso alla propria vittima, ad esempio sugli abiti che questa indossava al momento dell’omicidio.

Sfortunatamente non ci sono neanche testimoni a disposizione: malgrado quel sabato 24 luglio mattina vi fossero, sull’ammezzato della scala G, 32 studenti nella vicina “Sala consultazioni” nessuno infatti ha visto o sentito qualcosa. Sembrerebbe assurdo: un delitto feroce come questo certamente si è svolto in un lasso di tempo non brevissimo, e la povera Simonetta deve aver gridato a squarciagola per chiedere aiuto e per la paura provata. Ma nessuno l’ha sentita.

Come mai? sfortunatamente, tra le 11:30 e le 12:00 di quella mattina (il possibile orario in cui si consumò il crimine), proprio sull’ammezzato della scala G, vi erano, ad una certa distanza dai bagni femminili, alcuni operai a lavoro. Erano lì da alcuni giorni e spesso utilizzavano un martello pneumatico che, con il suo assordante rumore, copriva il campo uditivo di tutti i presenti. Gli operai vengono naturalmente rintracciati e interrogati: i loro abiti analizzati. Ma non emerge nulla. Non hanno visto e sentito niente e intorno alle 12:00 hanno staccato tutti insieme per andare a consumare il pranzo. Non c’era molto via vai in ateneo perchè non vi erano esami da discutere nelle aule.

In quanto a tracce utili, l’assassino sembra averne lasciata una sola, indicativa: una strisciata ematica, sul lato esterno della porta d’ingresso dei bagni femminili della scala G. Prodotta da dita insanguinate. L’assassino, dopo aver compiuto l’orrendo delitto, prima di darsi una sciacquata e fuggire via, si è affacciato sul corridoio del locale-bagni, per dare un’occhiata fuori. Poggiando la sua mano sinistra, con le dita macchiate di sangue, sul lato esterno della porta. Lo studio attento di questa traccia sembra suggerire due cose: per l’altezza cui era posizionato l’imbrattamento ematico, l’assassino doveva essere alto 1 metro e 80 centimetri o poco più. La forma delle strisciate di sangue farebbe pensare ad un individuo con le mani piuttosto grandi. CONTINUA…

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