Mostro di Firenze: l’altra verità. Intervista a Salvatore Maugeri

kraveichdi Paolo Cochi

Ventisette anni fa, le ultime vittime del mostro di Firenze, parla l’amico di infanzia del ragazzo ucciso.

Salvatore Maugeri, nasce il 14 giunio 1958 à Montbéliard, amico sin dall’infanzia di Jean Michel Kravechvili, laureato in sociologia dal 1995 e docente a l’università di Orleans. Si occupa di  ricerche nel campo della sociologia della gestione, nel laboratorio Vallorem, della stessa università. Ha scritto un ampia ricostruzione della vicenda del “mostro”, non ancora publicata, da anni cerca la verita’ sulla morte del suo amico Jean Micheal. Maugeri si esprime in maniera molto critica su come furono condotte le indagini e su come attualmente si considera la vicenda.

Sono passati piu’ di 25 anni dall’ultimo terribile duplice delitto del mostro di Firenze, ma ancora l’eco della vicenda non si é spento, una vicenda piena di zone d’ombra, che le sentenze della giustizia italiana non hanno pienamente spiegato. Secondo lei perché?

E’ semplice : la giustizia e gli inquirenti hanno completamente sbagliato strada, particolarmente dopo il 1995 siamo andati completamento fuori percorso. L’indagine si è come smarrita, ripartendo  da presupposti completamente privi di fondamento. Pare veramente sconcertante constatare come tante persone considerate ragionevoli, educate, colte e diplomate siano cadute così pesantemente in queste ridicole questioni occultiste, sataniste e complottiste! Forse poteva accadere solo in un paese come l’Italia, colma di fanatici religiosi, che ci fanno tornare indietro al tempo del medio-evo.

 

Da racconti di personaggi mezzi scemi o alcolizzati cronici e da voce pubbliche (rumeurs) le più caricaturali e assurde si è voluto costruire una tesi completamente senza costrutto  su mandanti e sette sataniche, messe nere.  Ancora più incredibile è constatare il fatto che non solo gli investigatori, ma anche dei magistrati abbiano prestato credito a queste dicerie. Dove sono i mandanti? Svaniti e nessuno se ne preoccupa oggi?  Pero, i crimini, a leggere le sentenze non sono stati realizzati per  guadagnare soldi, no? Dove sono i predetti milioni di euro del Pacciani o del Vanni? Ho fatto i conti, certo il Pacciani era “ricco” per essere un semplice contadino, ma credo che si sia molto esagerato nel farlo passare per un nababbo e tutto sommato la giustizia non si è neppure molto preoccupata di questo fatto. Come mai nessuno ha mai fatto i conti giusti per contestare certi calcoli sui redditi del Pacciani , esempio fra tanti?

Perfino il Dr Vigna, infatti, ha dovuto ammettere, nel documentario realizzato due anni fa da una giornalista francese, che la tesi dei mandanti è da considerare errata, da scartare… Purtroppo, non solo i mandanti sono da scordare, ma tutte le sciocchezze sulle messe nere e sulle sette sataniste. A questo proposito ho un’osservazione da fare: come mai si è cominciato a parlare di satanismo proprio con le vittime francesi? Come mai loro sono state presentate come adepti di sette sataniste venute proprio in Italia per celebrare chi sa che rito satanico e da quel momento trasformate, chi sa perché, da partecipanti a vittime? Come mai non si è fatto questo tipo di ipotesi per le vittime italiane?

La risposta è semplice: perché lì presenti a Firenze c’erano le famiglie per dimostrare il contrario e denunciare al primo tentativo di diffamazione di questo tipo gli autori di questi racconti assurdi! Invece, nel caso dei francesi, la distanza, la lingua, l’inconsapevolezza dei famigliari dovuta a questi ostacoli ha fatto sì che qualcuno si permettesse di infangare le vittime, sicuro di non suscitare controversie con le famiglie, che rimangono inconsapevoli di queste schifezze. E come se non bastasse ora c’è l’hanno con me, presentandomi, su certi siti, come adepto al satanismo. Ma questa volta cadono su di un osso, perché io l’italiano lo parlo e con l’avvocato Adriani ho legato un rapporto strettissimo: queste stupidità non le lasceremo diffondere .

Per concludere, dirò che le indagine vanno rifate da capo con un occhio nuovo partendo da ciò che i fatti, solo i fatti, ci permettono di dire e da ciò che la scienza criminalista ci consente di ipotizzare sul comportamento dei criminali seriali. Da questo punto mi pare ovvio che:
1) la tesi di crimini collettivi, in questo caso, non colma proprio con i fatti.
2) il Pacciani, pure essendo un essere disgustoso, non corrisponde al profilo del criminale del mostro.

Su quali punti delle indagini e delle sentenze si trova d’accordo?
Su pochi in verità, perché di fatti sicuri ce ne sono pochissimi in questa brutta storia… Le indagine sembrano state fatte con cosi poca cautela, pure nel caso del 1985. Pare che non ci sia quasi niente sul quale poggiarsi. Perfino l’identità dell’arma, se ho letto bene certi siti, va messa in dubbio. Facciamo un esempio: come mai certe volte ci sono meno bossoli che proiettili sui luoghi dei delitti? Non può essere, per esempio, che il criminale utilizzasse certe volte contemporaneamente due pistole, una in ogni mano, uno che espelleva i bossoli, l’altro no? E perché no? Tutto è possibile. Si spiegherebbe così il fatto che le vittime non avessero neanche il tempo di muoversi per un tentativo di fuga…

Invece, si è voluto per forza pensare a una Beretta, e perché una Beretta? Qua ancora è una mere ipotesi: altre armi possono tirare delle 22 long rifle… Dei dubbi ce ne sono tanti. Faccio un altro esempio. Se ho letto bene, c’è gente che si meraviglia del fatto che nel caso del ’68 si siano ritrovati i bossoli negli archivi del palazzo di giustizia, dal momento che la sentenza era stata pronunciata e i reperti sarebbero dovuti essere distrutti. Invece, c’è chi la pensa diversamente, ossia che non essendo stata ritrovata l’arma, i reperti che avrebbero potuto permettere un’identificazione posteriore dovevano rimanere negli archivi.

Come mai questo tipo di esitazione? C’è o no una dottrina giuridica in questo caso che permette di rispondere chiaramente?  Inoltre, si legge che il delitto del ’68 è stato messo in relazione agli altri perché un carabiniere si sarebbe ricordato del caso. Invece c’è chi racconta che fu una lettera anonima a ricordare all’arma dei CC la similitudine dei casi… Perché fare la luce su quest’aspetto è importante? Per valutare la pertinenza dell’ipotesi che sia stato il criminale stesso a introdurre i bossoli negli archivi, per mandare dopo la lettera che avrebbe fatto associare il caso del ’68 agli altri.

Certo, nello stesso tempo bisogna valutare la possibilità per un addetto ai lavori di “inquinare” la situazione depistando, il che significa che il mostro potrebbe essere un appartenente all’Arma, come certe persone ipotizzano. Faccio tutti questi discorsi per dimostrare a che punto le verità sono poche, i dubbi immensi, e che di fatto seguire un’unica pista, con tanto accanimento, sembra una metodologia ingenua, scarsa e tutto sommato deludente.

Sto dicendo in un altro modo che certo la faccenda è terribilmente complicata, ma carabinieri, polizia e i giudici stessi non hanno saputo dare la risposta giusta al caso. Al limite si potrebbe perdonare l’inefficienza perché, ripeto, siamo di fronte a un caso terribilmente difficile, ma quello che non si può perdonare sono le calunnie alle vittime, le falsità che si sono diffuse per mancanza di riscontri come nel caso del percorso e della durata della gita dei Francesi, per esempio, che abbiamo chiarito nel nostro piccolo libro – e last but not least la mancanza di generosità nei confronti dei famigliari stranieri. Non so quanto l’Italia si sia preoccupata dei famigliari delle vittime tedesche, ma per quanto riguarda le vittime francese, posso dire che è stata una vera vergogna. In un caso come questo si aspetta un’assistenza stretta, un atteggiamento generoso e dimostrazione di compassione. Invece, niente. Il silenzio, la solitudine, il disprezzo nei confronti dei genitori, delle sorelle e del fratello. Hanno dovuto affrontare la situazione solo con le loro forze.

Lei era amico dell’ultima vittima Jean Michel Kravechvili , quali sono gli ultimi ricordi circa Jean Michel?
Jean-Michel era un ragazzo piena di vita e entusiasta, nato in una famiglia che da parte del padre aveva già pagato il suo tributo alle sofferenze e alle sciagure familiari : d’origine Georgiana, il padre aveva potuto fuggire il paese, credo approfittando di una partita di volley ball giocata in Francia, rinunciando così a tutti i contatti con famiglia e con il passato. Non una rottura da poco, però era andato avanti. Si era sposato con una Francese e aveva potuto vitere (lavorava alla Peugeot) e fondare una famiglia il Francia. Jean-Michel era il penultimo figlio di 5, il secondo maschio. La sorella grande è morta dal cancro, forse poco tempo dopo di lui, non ricordo bene. Il padre è morto 3 o 4 anni fa. La madre vive ancora. E una donna discreta che si porta nel profondo questo dramma, sapendo e capendo poco di quello che è successo. Forse è meglio così. Però è tremendo pensare che nessuno sia venuto mai dall’Italia per spiegare, consolare.

Jean-Michel suonava la batteria. Gli piaceva il rock, il reggae, il jazz. Aveva molti amici a Besançon, dove stava, e “campava” come poteva di musica, in ambienti sempre alternativi, comunitari. Lo conoscevo dall’infanzia. Era più giovane di me ed era in classe con mio fratello piccolo, nella stessa scuola mia. Ci vedevamo ogni giorno. Dal momento dell’adolescenza agli inizi degli ottanti eravamo sempre insieme, con altri due ragazzi, suonavamo insieme. Condividevamo tutte le gioie e le pene dell’esistenza, scoprendo la vita, i suoi piaceri e fregature… Eravamo convinti di potere vivere di musica e giravamo la regione in un furgone vecchio e stanco, per concerti e manifestazioni varie. Si beveva, si fumava un po’, sempre cercando un modo di vivere che non sarebbe stato quello dei genitori, logorati sin da l’infanzia dal lavoro in fabbrica.

Bisogna conoscere la nostra Franche-Comté, particolarmente il Pays de Montbéliard, luogo di nascità e crescità della famiglia Peugeot. Un ambiente luterano, dove ci si sente dire fin da piccoli che il massimo è lavorare alla Peugeot, consumare nei negozi Peugeot, circolare in una Peugeot, e passare il mese d’Agosto in un’ centro di vacanze Peugeot… Naturalmente, noi avevamo un unico sogno: fuggire da li, scapare dall’influenza Peugeot – cosa che a questi tempi introduceva un scarto doloroso con i nostri anziani, e anche questo bisogna metterlo nel conto: tra il padre e il figlio c’era amore, certo, ma anche incomprensione, come in tante famiglie nostre, che il tempo non ha potuto eliminare, come è successo invece nelle altre famiglie, dove il passare degli anni ha permesso spesso di avvicinare le generazioni. Per tornare ai miei legami con Jean-Michel, bisogna dire che gli ultimi anni prima della sua scomparsa lo frequentavo poco, stavo altrove e le nostre strade si erano un po’ staccate per vie del nostre scelte di vita. Però avevamo condiviso molto e la nostra amicizia rimaneva, mancavano solo le occasioni per risvegliarla. Sono rimasto vicino alle sorelle, specialmente la piu piccola e spesso ci chiediamo cosa avrebbe fatto della sua vita. Nessuno può saperlo e naturalmente è la stessa cosa per tutte le vittime del “mostro”, tutte giovani come lui e tutte innocenti… E così, ci torna in mente la violenza di queste scomparse.

La data dell’omicidio, secondo lei, é veramente l’8 settembre 1985?
Questo argomento l’abbiamo sviluppato a lungo nel nostro libretto con l’avvocato Adriani e Francesco Capelletti, il suo collaboratore. Io sono certo che la data di domenica 8 settembre è errata. Tante cose lo dicono, ma specialmente il fatto che di scontrini di ristoranti, negozi, benzina non ce ne sono più negli oggetti che abbiamo trovato nella tenda o nella macchina (cose che gli investigatori non hanno mai valutato…). Invece, per i tre giorni prima, dopo il loro passaggio del confine, Nadine si era conservato tutto, appunto per la sua contabilità, visto che in Italia ci veniva non solo per turismo ma anche, come si sa, per visitare la fiera della calzatura di Bologna, che chiudeva molto verosimilmente la domenica 8 settembre, anche se nel rapporto dei Carabinieri si indica come data di chiusura della manifestazione quella assai meno probabile di lunedì 9 settembre. Senza parlare del fatto che la macchina è rimasta ferma per due giorni (il sabato e la domenica), che i dati della medicina legale non colmano con lo stato di decomposizione dei cadaveri e la questione del rigor mortis se si ritiene valida la data della domenica. Tutto questo è discusso in modo dettagliato nel nostro libro.

Pur non avendo nessuna certezza, la mia convinzione è che loro due hanno montato la tenda il venerdì nel tardo pomeriggio, si sono goduti il posto la sera, mangiando il loro ultimo pasto, può darsi alla festa dell’unità a Cerbaia dove un testimone ha detto di averli riconosciuti, e sono stati uccisi dopo, o la notte stessa del venerdì, o la mattina del sabato, alle prime luci dell’alba…

Secondo me, alla fiera ci volevano andare al momento del ritorno, proprio l’ultimo week end. Il loro viaggio era un viaggio di scoperta rapida dell’Italia del centro-nord, stando non più di una notte nello stesso posto. Sono convinto che sarebbero dovuti partire il sabato stesso per arrivare a Bologna nel primo pomeriggio, visitare un po’ la fiera il giorno stesso, dormire li la notte, ritornandoci la domenica per finire la visita e ordinare le commesse ai fornitori scelti il giorno prima.  Prima di riprendere la strada per la Francia, avrebbero forse dormito un’ultima note sui laghi, prima di arrivare in Francia il lunedì.

Ho parlato con la figlia più grande di Nadine e con la signora che gestiva il negozio durante l’assenza di Nadine. La scuola riapriva il martedì e il negozio era chiuso il lunedì. Tutto quadrava per un ritorno in Francia al massimo il lunedì pomeriggio, dopo questa fermata alla fiera di Bologna. Come si potrebbe spiegare il loro fermo anche la domenica a Firenze? Non ha nessuno senso…

Pensa che si possa cercare qualche elemento in più, quantomeno per una verità storica?
A quasi 27 anni dei fatti – sempre se si parla solo del caso del 1985 – pare improbabile poter scoprire qualcosa di determinante per quanto riguarda la ricerca della verità. Ci vorrebbe un miracolo o qualcuno che sappia qualcosa di preciso e che fosse deciso a parlare, prima di sparire… Invece, per quanto riguarda l’identificazione degli errori, le insufficienze e le mancanze investigative, non è la stessa cosa. Le carte ci sono ancora, i metodi si possono ricostruire e criticare: allora si può capire quanto è mancato alla polizia e alla giustizia italiana per avvicinarsi alla verità.

A questo proposito va sottolineato, a mio avviso, il deludente atteggiamento della procura di Firenze, ma anche del palazzo di giustizia, che si sono rifiutati dicollaborare col nostro avvocato quando ha chiesto il permesso di esaminare alcuni reperti per chiarire certi punti, o il rilascio di certi documenti relativi al processo d’appello ai “compagni di merende”. Vi rendete conto che a questo processo le famiglie francesi non erano rappresentate da un legale? Il generoso avvocato Santoni Franchetti era morto, l’avvocato Adriani non era ancora subentrato nella faccenda e le famiglie sono rimaste nell’ignoranza di tutto questo! Ma come si può concepire una cosa simile in un paese moderno, civile e democratico?

Pero, nonostante il mio pessimismo, direi che se le indagine fossero rincominciate da capo, con un occhio nuovo, senza presupposti assurdi, di tipo satanismo, ecc., qualcosa di nuovo potrebbe venire alla luce. Comunque, per il rispetto di tutte le vittime, vale la pena continuare a cercare…

Ritiene possibile che questa tipologia di delitti abbiano una matrice “esoterica”?
Ho già risposto.

Si é fatto un’idea sul perchè il “mostro” smette di uccidere dopo il 1985?
Direi che è l’unico fatto, secondo me, che darebbe del peso – anche se non ci credo per niente-, alla tesi “Pacciani è il “mostro””. Pacciani non è il “mostro” 
1) perché è entrato nella faccenda, nell’85, dopo una denuncia che con i crimini del “mostro” non c’entrava per niente, e che però ha fatto comodo a quanti erano preoccupati del caso 
2) perché col profilo del criminale seriale non condivide niente.

Adesso, perché dopo il 1985 il “mostro” non colpisce più? Non lo so. Possiamo fare solo delle ipotesi (è morto, perché era vecchio; è diventato troppo vecchio per rischiare; è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico perché la sua follia lo ha alienato definitivamente; è in galera per altri fatti…). Nessuno può rispondere, a meno che non si consideri Pacciani il “mostro” (o meglio, uno dei “mostri”…). Comunque è una domanda dalla quale sarebbe interessante riprendere le indagini.

C’è anche Salvatore Vinci ad essere scomparso dopo il 1985, se non sbaglio, anche lui sospettato di essere il “mostro”. Da questo punto di vista si può anche scartare l’ipotesi assai astrusa, dei Preston/Spezi, che hanno fatto il nome del figlio di Vinci (almeno nella versione francese del loro libro è cosi), senza una singola prova, e non capisco come mai quest’ultimo non abbia mai chiesto riparazione alla giustizia… Invece, il libro di Spezi sulla sua incarcerazione (Inviato in galera) mi è molto piaciuto, dice molto della giustizia in generale e della giustizia italiana. E’ scritto in un modo elegante e permette di capire lo stato d’animo di chi si trova in galera – un’esperienza che bisogna vivere per capirla veramente. Di contro, il suo libro con Preston è molto criticabile, non solo perché cade in questa strada diffamatoria, ma anche perché tratta leggermente di una storia troppo dolorosa per essere strumentalizzata in questo modo “giallesco” se si può dire, a fini commerciali.

Tutto questo per dire che ci sono e si potrebbero fare delle ipotesi alternative a “Pacciani è il mostro” per spiegare perché non ci sono stati più omicidi dopo il 1985…

A suo giudizio i delitti del mostro erano opera di una persona o di un gruppo?
Ho gia risposto. Non sono criminologo, solo sociologo, ma avendo letto un po’ di criminologia, avendo letto il resoconto dello FBI, capendo un po’ come fu la dinamica degli omicidi, si fa presto a capire che questo tipo di crimini non vengono fatti in gruppo o da gruppi. E’ il risultato di una menta unica, di una follia troppo specifica, troppo particolare… Vanno interrogati i periti ancora una volta, a livello mondiale, per fare confermare questa tesi. Dei crimini barbari commessi in gruppo si sono visti, certo, e qualche volta anche con gran metodo, se si pensa per esempio al genocidio degli ebrei, però un tipo di crimine a connotazione sessuale come questo, compiuto con tanta ritualità, precisione, ripetizione, non sembra proprio quello di uno gruppo, nemmeno di due persone… No, il criminale era unico, agiva da solo, di notte, come una volpe, con molto cautela e capacità di mimetizzarsi nell’ambiente e svanire nel nulla.

L’immagine che mi è sempre venuta in mente è quella di un vostro fotoromanzo chiamato “Killing”, pubblicato negli anni ’60, tradotto in Francia in “Satanik” ed erede, se non sbaglio, di un fumetto italiano chiamato prima Diabolik, dopo Kriminal, tutti quanti figli del nostro Fantomas francese. Nonostante i nomi, questo criminale non c’entra niente con le sette, i riti satanisti, ecc., ma uccide per il piacere di fare e vedere soffrire, specialmente le donne, ma non solo, e per arricchirsi. Più di tutto, mi colpisce la sua capacità di mimetizzarsi col suo ambiente, di trasformare l’apparenza, di vivere un’esistenza quasi normale, con moglie e belle macchine, nella vita civile, per poi diventare una bestia senza pietà, uscendo dal nulla all’improvvisa per uccidere in modo barbaro, per poi tornare nella notte come se niente fosse. Per questo personaggio le donne sono sempre prede: in qualche modo è il nostro immaginario machista, maschio, dominatorio, freddo e strapotente che viene rappresentato e che vedo alla radice del comportamento del “mostro”… E’ solo un impressione, naturalmente, e può darsi che sbagli del tutto. Anzi, sbaglio sicuramente, però mi permette di dare la mia visione del “mostro”. Lontano, insomma, da ciò che sappiamo del Pacciani e dei “compagni di merende”… Il “mostro” era (è ?) una persona fredda, calcolatrice, cauta, preparata e in guerra contro il genere umano. Uccide perché è il suo modo di godere.

E’ attualmente possibile, attraverso una ri-analisi dei reperti , con le moderne tecniche , arrivare ad una verità diversa da quella delle sentenze? 
E’stato riportato da fonti d’informazione italiane che gli inquirenti avrebbero sottoposto il timbro e le buste mandate a tre magistrati nell’ottobre 1985 alle tecniche del DNA, però solo per confrontarli col DNA del defunto Narducci. L’esito sarebbe stato negativo.

Per tornare alla domanda, si può sempre ricorrere alle tecniche moderne però, prima di tutto, bisogna disporre di un indirizzo, di una direttrice, di un’ipotesi per orientare le indagini. Per questo bisogna smetterla con le piste privilegiate fino a oggi, riaprire a 360 gradi le indagini, riprendere da capo, senza preconcetti. Chi lo vuole fare questo sforzo in Italia? Chi vuole buttarsi di nuovo in questa drammatica e schifosa faccenda? Tranne l’ammirevole avvocato Adriani, che si preoccupa dei famigliari francesi da tanti anni, gratuitamente e quasi giornalmente, e le rare persone che lui stesso riesce a mobilitare per riflettere sul caso, chi ce l’ha ancora questa forza, questa determinazione, questo coraggio per ricercare la verità? Certo, ci sono tutti i “ricercatori della domenica”, quelli che sui siti Internet continuano a pensare a questo mistero, certe volte anche con grande sincerità, onestà e impegno, più spesso con una leggerezza e un protagonismo disgustoso, ma ci vuole naturalmente ben di più. Ci vogliono le forze dello Stato, l’apparato di tutte le forze dell’ordine, magistrati decisi e giusti, interessati alla verità e non a proteggere a tutti costi le sentenze già pronunciate, per non trovarsi nella situazione di dovere riconoscere i propri sbagli e responsabilità…

Di fronte a questo, la questione delle tecniche moderne pare meramente retorica…