Pasolini: non chiudete quelle indagini. Una storia di colpi di scena.

L’inchiesta per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini è stata riaperta sulla base delle indagini scientifiche sui reperti di quella notte: era il 10 maggio 2010. Quel giorno, la tavoletta di legno, il misterioso plantare trovato nell’auto del poeta assieme ad un altrettanto misterioso maglione (tutta roba che non era né sua, né di Pelosi), i vestiti insanguinati della vittima, furono messi nelle mani del Ris di Roma. Prima di quel giorno c’era stato un fatto importante: nel 2005 Pelosi (per gli amici Pino “la rana”, nella foto in alto) era intervenuto nella trasmissione di Franca Leosini, su Rai 3, e per 8.000 euro lordi (tanto fu il suo compenso come ospite) aveva raccontato un’altra storia, per la prima volta: quella di un agguato fatto da cinque-sei persone, che lo avevano tenuto fermo, picchiato (un fatto del tutto falso) e minacciato, mentre ammazzavano il poeta davanti a lui, nel buio di quel piazzale di terra e di fango, ai confini del mare. Cioè quello che ormai sospettavamo tutti: ma che lui non aveva mai ammesso prima.

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Anche i bambini ormai sanno che, da quella lotta che Pelosi nel ’75 confessò di aver fatto con Pasolini, nettamente più forte di lui, emerse lindo e pinto, senza un graffietto. Bastava guardare le condizioni del corpo del poeta per capire la follia di quella confessione. Ma il nuovo racconto fatto dalla “rana” in tv, 30 anni dopo, è quello di un delitto commesso da altri, da ignoti. E’ quello delle pesantissime minacce a lui e alla sua famiglia, gridate da un uomo affiorato di colpo dall’oscurità. Minacce che l’avrebbero spinto, all’epoca, a confessare un delitto di cui era stato solo spettatore. “Ricordo quel giorno del 2010 – racconta Ruffini – eravamo nei laboratori dei Ris, a Tor di Quinto. I reperti erano pieni di sangue, impronte, capelli. Tutti si chiedevano perché nessuno c’aveva pensato prima… Nel 1975 fecero solo l’esame del sangue: trovarono il gruppo di Pelosi e quello di Pasolini, ma si poteva parlare solo di compatibilità, genericamente”. Migliaia e migliaia di persone avevano lo stesso gruppo della vittima e del presunto assassino. Certo, tutti quelli che sono stati sospettati, in questi quasi 40 anni, di essere stati implicati nel delitto, sono già belli che morti (come i fratelli Borsellino), ma uno, Giuseppe Mastini detto “Johnny lo Zingaro” è ancora vivo. Mastini si è sempre chiamato fuori da quella notte all’Idroscalo, va detto. Anche se Pelosi lo conosceva.

Qual è ipotesi contenuta nella richiesta di riapertura delle indagini? Ruffini: “Abbiamo collegato Pasolini, la morte di Enrico Mattei e quella di Mauro De Mauro”. L’ipotesi è che il poeta e scrittore avesse scoperto chi fossero i mandanti dell’omicidio di Enrico Mattei (sul quale aveva indagato, per conto del regista Francesco Rosi, il giornalista dell’ “Ora” di Palermo Mauro De Mauro, che un giorno era sparito nel nulla) e si apprestasse a rivelarli nel suo nuovo libro, “Petrolio”, di cui manca a tutt’oggi un capitolo che, a dire il vero, non è però chiaro se sia sparito o se, come afferma invece la cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, non è semplicemente mai stato scritto.

E allora quale può essere stato il ruolo di Pelosi, in quella notte di novembre? Ruffini: “Oggi penso che non abbia preso parte materialmente parte al delitto, ma che involontariamente abbia portato Pasolini in una trappola. L’esca, come lui stesso dice, può essere stata anche quella delle “pizze” di “Salò”, l’ultimo film del regista, “pizze” che vennero rubate e per quali fu chiesto un riscatto”.

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E’ un’altra teoria che gira da tempo. Quella notte, Pelosi avrebbe fatto da tramite con gli autori del furto e Pasolini avrebbe avuto l’auto imbottita dei soldi (3-4 milioni di lire, che all’epoca erano una gran bella cifretta) con cui ricomprarsi quei pezzi del suo ultimo film. Poi le cose sarebbero andate diversamente. La pellicola non c’era, c’era solo un tentativo di furto. E la reazione di Pasolini. Forse era solo, alla fine, un trucco per ammazzarlo. Il furto ci fu realmente, d’accordo, ma è pur vero che “Salò” uscì poco dopo, il 10 gennaio 1976, il che vuol dire che la mancanza di quelle “pizze” non incise sulla distribuzione dell’opera nelle sale. Era davvero un’esca così importante, dunque?

Forse, oggi, quei reperti che sono stati muti per 40 anni potrebbero decidersi a parlare.

di Fabio Sanvitale