42 anni dopo, cosa sappiamo della morte di Pasolini?

Sono passati 42 anni da quella notte di novembre tra l’1 e il 2 novembre 1975 in cui Pierpaolo Pasolini fu ammazzato. Eppure. Eppure qualche giorno fa ero davanti all’Idroscalo, lì dove un monumento bianco ricorda il punto in cui fu ritrovato, e in soli venti minuti si sono fermate tre persone. Tutti cercavano lui. Pasolini è morto, Pasolini è vivo. Cosa sappiamo di certo, oggi, su chi lo uccise? In “Accadde all’Idroscalo”, il libro che ho scritto un anno fa con Armando Palmegiani, abbiamo rifatto da capo le indagini e siamo riusciti a mettere a fuoco una serie di cose, che si aggiungono ai punti fermi emersi dall’ultima inchiesta della Procura di Roma (2010-2015) dopo la richiesta di riapertura di Simona Ruffini e Stefano Maccioni. Nel nostro libro, quello che possiamo dire di certo è questo:

  1. La tesi del complotto di Stato è suggestiva ma regge poco. Bisognerebbe prima dimostrare se Pasolini davvero sapeva qualcosa e se davvero “Romanzo di una strage”, il suo articolo uscito sul Corriere della Sera mesi prima, contenesse davvero i segni di una conoscenza pericolosa sui rapporti tra Stato e stragismo. La verità sta nel mezzo. Tutti leggono la prima parte dell’articolo, pochi la seconda. Pasolini non dice di sapere, anzi: dice di non sapere. Ha però intuito dei significati e dei ruoli con enorme anticipo, ma a cui non riesce a dare un nome e cognome, perché non ha le armi per poterlo fare. Ha sospetti e indizi ma non prove ed è per le prove che si muore.
  2. La tesi del capitolo mancante a “Petrolio”, il suo ultimo libro, merita un’analisi che rivendichiamo di aver fatto per primi, sottraendola a quella di filologi, poeti, romanzieri e biografi pasoliniani. Intellettuali veri, intendiamoci, ma non investigatori. Su quella bozza di libro c’è tantissimo da dire, per quello che c’è e quello che manca: ma credete, una spiegazione a tutto esiste e se non si cerca con pregiudizio quelle vecchie pagine di carta velina, parlano. Sì, manca il famoso “Appunto 21”, ma mancano anche altre cose e altrettante, che dovrebbero mancare, sono al loro posto. Anzi.
  3. La tesi del coinvolgimento della Banda della Magliana è ridicola. Ne abbiamo parlato con Antonio Mancini, uno dei boss ancora vivo, e ci ha spiegato come avrebbe fatto se fosse toccato a lui. Tutt’un’altra storia, altre modalità, altri luoghi. Fermo restando che nel 1975 la Banda non c’era.
  4. La sparizione di Pinna “er meccanico”, malavitoso legato al Clan dei Marsigliesi, può essere messa in connessione con il delitto dell’Idroscalo? Siamo andati a Monteverde per scoprirlo, ne abbiamo parlato con Ferdinando Imposimato, con Er Pecetto, l’ultimo dei “Ragazzi di vita”.
  5. Chi c’era allora con Pelosi, quella notte? Abbiamo fatto 3 nomi. E abbiamo detto che esiste un collegamento pazzesco tra un personaggio di questa storia e uno degli amici che erano con Pino Pelosi a Piazza dei Cinquecento, quando arrivò Pasolini e lui e Pino se ne andarono via, nella notte. Quei 3 nomi sono i nomi di 3 morti, ma ci aprono a un movente che in parte non è una novità; ma che è l’unico possibile, secondo noi.
  6. Abbiamo esaminato la scena del crimine come mai fatto prima. Le foto originali del sopralluogo, quelle dell’auto GT di Pasolini, foto successive inedite e piantine complete della zona delle baracche, che era enorme. Da dove e come sono arrivati gli aggressori? L’Idroscalo lo dice, il che cambia la dinamica dell’agguato e anche la sua motivazione…

Sì, dopo 42 anni c’è ancora gente che vuole vedere dov’è morto il poeta. C’è ancora gente che vuole sapere. Quella notte morì qualcosa in molte persone, ma -anno dopo anno- il lavoro di tanti giornalisti e scrittori sta portando a galla pezzi di verità, come relitti di un naufragio. Forse non sapremo mai tutto, fino in fondo. Ma è meglio sapere una parte, che non sapere nulla: e inventare la realtà pur di avere una spiegazione. Se non si vogliono vendere tesi spettacolari ma solo cercare la verità in modo obiettivo, bisogna accettare qualunque risultato abbia questa ricerca, senza paura.

 di Fabio Sanvitale