Lidia Macchi: ecco il profilo psicologico di Stefano Binda, il presunto assassino

La notizia giunta all’alba di stamattina ha sconvolto tutti. 29 anni dopo un uomo è stato arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Lidia Macchi, la studentessa trovata morta nel bosco di Sass Pinì (Varese) il 7 gennaio 1987. Omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa: queste le accuse gravissime che pesano su Stefano Binda, 48 anni, un ex compagno di scuola di Lidia Macchi che, all’epoca dei fatti, frequentava il suo stesso ambiente di Comunione e Liberazione.

Laureato in Filosofia alla Statale di Milano, disoccupato, fino al momento dell’arresto viveva con la madre a Brebbia (Varese). Una persona pacata e tranquilla, a detta di chi lo conosceva, che però aveva avuto un trascorso di tossicodipendenza durato diversi anni. Già nel 1987, infatti, era entrato nel giro dell’eroina e forse Lidia Macchi stava cercando di dargli una mano a uscirne: “Non sembra potersi escludere – scrive il Gip Anna Giorgetti nell’ordinanza di custodia cautelare – anzi, che proprio la fragilità di Stefano Binda diventi il motivo di interesse di Lidia”.

Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, la sera del 5 gennaio il Binda sarebbe salito in macchina con Lidia Macchi, la quale si era recata  a trovare un’amica ricoverata all’ospedale di Cittiglio, e insieme si sarebbero diretti verso il bosco di Sass Pinì. Qui il Binda avrebbe violentato la giovane amica e poi, non contento, l’avrebbe uccisa per punirla del fatto di essersi concessa. Oltre il danno la beffa, insomma. Assurdo, ma purtroppo la cronaca nera ci insegna che non c’è mai limite al peggio. Accecato dal fanatismo religioso, Stefano Binda avrebbe quindi ucciso Lidia Macchi perché colpevole di essersi fatta violentare.

L’incredibile svolta di questa vicenda ruota intorno a una lettera anonima recapitata alla famiglia Macchi il giorno del funerale di Lidia. Una lettera intitolata “In morte di un’amica”, nella quale vengono fatti chiari riferimenti alle dinamiche dell’omicidio. Una lettera, quindi, che secondo gli inquirenti dev’essere stata scritta dall’assassino. Un’amica di Stefano Binda la scorsa estate, dopo aver visto la lettera pubblicata su un quotidiano, ha riconosciuto la calligrafia e l’ha confrontata con quella presente su alcune cartoline mandatele dal Binda. A casa dell’indagato, sempre con la stessa grafia, è stato trovato un foglio con scritto”.“Stefano è un  barbaro assassino”.

Abbiamo chiesto alla dottoressa Marisa Aloia, esperta in grafologia forense, nonché psicologa e psicoterapeuta, di aiutarci a capire che tipo di personalità si cela dietro l’autore della lettera. “Bisogna premettere ovviamente che quella diffusa dai media è una fotocopia della lettera originale – sottolinea la Aloia – e molti altri elementi servirebbero per fare un’analisi completa ed esaustiva, ma già qualche considerazione è possibile farla”. 

“Chi ha scritto questa lettera/poesia è una persona ossessivo compulsiva falsamente precisa, ossia: questa lettera è solo formalmente ben impostata, ma non esistono motivazioni serie per questo tipo di impostazione. Bisogna poi notare il fatto che la lettera è scritta in stampatello. Questo tipo di carattere oggi va abbastanza di moda, ma trent’anni fa, all’epoca in cui è stata scritta la lettera, non era abitualmente utilizzato. Lo scrivere in stampatello, in questo caso, è sinonimo di una maschera. E’ un modo per dire all’altro: ‘Tu non accetti come sono e allora io mi comporto ( = scrivo) come tu vuoi che io mi comporti ( = scriva).’ Ma dietro a questa maschera si nasconde ben altro. Si tratta dunque sicuramente di una persona non spontanea. Il falso ordine lo si evince anche dall’aver suddiviso le frasi in strofe. Si tratta di una personalità che nella realtà non riesce a controllarsi quanto vorrebbe. Se la Procura mi chiedesse cosa fare con una persona del genere, il mio suggerimento sarebbe quello di cercare di fargli perdere le staffe, perché solo così i soggetto potrebbe rivelarsi per quello che è realmente.”

Chiediamo alla dottoressa Aloia di interpretare anche il simbolo presente alla fine della lettera: “Potrebbe essere un “1” cerchiato. Forse aveva intenzione di proseguire o di scrivere altre lettere.”

Infine, un’importantissima precisazione: “La lettera è anonima solo perché non è firmata. Ma quella che vedo non è una scrittura contraffatta, bensì spontanea. A mio avviso, quindi, il suo autore voleva quasi quasi essere scoperto…” 

di Valentina Magrin