Strage di Las Vegas: identikit di un mass murder

(Foto: ROBYN BECK/AFP/Getty Images)
Alle 22.05 del 1 ottobre 2017 un uomo di 64 anni, Stephen Paddock, dal 32° piano del Mandalay Bay Hotel di Las Vegas ha fatto fuoco sul pubblico di un concerto di musica country. 58 morti e 489 feriti: questo, ad oggi, il tragico bilancio di quella che ormai tutti chiamano “la strage di Las Vegas”. Paddock, che si è suicidato poco prima che gli agenti facessero irruzione nella sua stanza, viene descritto da familiari e parenti come un uomo tutto sommato insignificante e pieno di contraddizioni. E’ interessante la descrizione che ne fanno tre giornalisti in un articolo del New York Times:
“Stephen Paddock era una contraddizione vivente: un giocatore d’azzardo che non correva rischi. Un uomo con case ovunque, ma che non viveva in alcuna di esse. Qualcuno a cui piaceva la bella vita dei casinò, ma che guidava un anonimo minivan e vestiva casual, per non dire sciatto, con infradito e tute da ginnastica. Non usava Facebook o Twitter, ma aveva trascorso gli ultimi 25 anni fissando gli schermi dei video poker.”
Quel che è certo è che Paddock si può definire un mass murder, un “assassino di massa”, praticamente un serial killer che però, invece di uccidere le sue vittime in momenti cronologicamente distanti l’uno dall’altro, simbolicamente le raggruppa tutte insieme e poi colpisce.
Per capire meglio la figura dell’autore della strage di Las Vegas, e più in generale di un mass murder, abbiamo intervistato Chiara Camerani, psicologa e direttrice del Cepic (Centro Europeo di Psicologia Investigazione e Criminologia).
Dottoressa Camerani, ci spiega cos’è un mass murder ?
Fino agli anni ’80 l’omicidio di più persone, era genericamente indicato come “assassinio multiplo”. Sarà l’FBI a sistematizzare tali condotte accorpandole sotto la denominazione di Assassini di massa (Mass Murderer) e includendo in questa categoria quei soggetti che uccidono quattro o più vittime nello stesso luogo e momento. Spesso i target sono vittime casuali o superficialmente note, talvolta possono rivestire significati simbolici per l’aggressore (la rappresentazione del mondo che non ha saputo apprezzarlo, oppure l’ufficio pubblico a rappresentanza dello Stato che lo ha vessato…) . La frase “Muoia Sansone con tutti i filistei” è quella che meglio riflette l’assetto mentale di questo assassino che spesso, dopo la strage, si uccide o viene ucciso dalle forze dell’ordine. 
E cosa lo spinge a farlo? 
Nella situazione più frequente, l’assassino soffre di schizofrenia paranoide, una psicosi caratterizzata da allucinazioni, deliri di persecuzione, atteggiamenti sospettosi. Si sente perseguitato e disprezzato ad un mondo ostile dove tutti gli sono nemici. Si presenta come un “collezionista di ingiustizie”, vere o presunte.
Ciò lo conduce verso una involuzione progressiva che lo allontana dal mondo, imprigionandolo nelle sue fantasie. La vita perde significato e l’ideazione suicida si concretizza, ma la rabbia lo spinge a vendicarsi.
Possiamo quindi parlare di follia?
Più che follia è una spirale discendente: spesso fallimenti personali e lavorativi insinuano la convinzione che il mondo sia ostile, la depressione si alterna alla rabbia, il senso di sconfitta all’onnipotenza vendicativa. La diffidenza aumenta, l’assassino inizia a proteggersi fisicamente e materialmente pianificando una rivincita, un modo per ripristinare una simbolica giustizia o avere vendetta.
Se Paddock fosse stato dell’ISIS si sarebbe sparato?
Questo non saprei dirlo, ma ad oggi, indipendentemente dalle dichiarazioni espresse dall’ISIS, che ha tutti i vantaggi ad attribuirsene il merito, non vi sono prove di alcun legame tra P. e gruppi terroristici. Di certo balza agli occhi che sia fuori range di età rispetto al terrorista medio. Sottolineerei inoltre che assistiamo ad un crescente ricorso da parte di soggetti che tipicamente identifichiamo come mass murderer, all’esibizione, sulla scia dell’onda mediatica, di una presunta appartenenza all’ISIS al solo scopo di aumentare l’impatto mediatico della strage o anche di investire di  un alone di eroicità e legittimità  quella che si ridurrebbe altrimenti, ad una semplice azione criminale attuata da un soggetto mentalmente instabile.
Perché la stragrande maggioranza di questi episodi avviene negli USA? 
Il mass murder è un fenomeno caratteristico di paesi altamente industrializzati e l’America certamente è il più rappresentativo tra questi.  Qui la richiesta sociale di un ruolo vincente è pressante e pone la competizione e la realizzazione personale come elementi fondanti la persona. È la terra delle possibilità, quindi se non riesci, il fallito sei tu. Di contro però la realtà offre scarse possibilità di accesso alle risorse economiche e professionali. Ciò costituisce una fonte di continue frustrazioni cui persone già fragili o svantaggiate vengono sottoposte, che può portare a cedere di fronte ad un tale stress esistenziale.
Si possono individuare segni premonitori di questi serial killer?
Età media 38 anni, tendenzialmente appaiono come tranquilli ma solitari con forte tendenza ad evitare le interazioni sociali. Molti manifestano interesse o sono affascinati da tematiche relative a guerra e violenza.  Frequentemente hanno una pregressa storia di violenza, seppure di modesto rilievo prima della strage . Il 50% ha subito almeno un ricovero psichiatrico o visitato un professionista della salute mentale prima della strage. Le patologie più comuni fanno riferimento a schizofrenia paranoide, disturbo delirante e depressione. 
Paddock era così?
Non abbiamo abbastanza elementi, sappiamo solo che era un solitario, che pur benestante non si godeva la vita, ma si era ritirato in un pensionato tranquillo nel Nevada. Nella sua vita si è trasferito spesso (Nevada, California, Texas, Florida), in assenza di ragioni lavorative, questo non trovare un posto proprio potrebbe essere un indicatore di disagio. 
Era un gambler, quindi a dispetto dell’apparenza tranquilla e dimessa è una persona che ama il brivido il rischio e cerca emozioni. Ha un paio di episodi di cause e querele che può aver vissuto come torti reali o immaginati. Con queste basi è difficile parlare di segni premonitori. Spesso sono soggetti isolati e diffidenti, possiamo talvolta riscontrare una maggiore involuzione nel periodo antecedente alla strage, quando abbiamo dei rabbiosi ruminanti. Altre volte si riscontra un periodo di involuzione e depressione cui segue una sorta di miglioramento, in genere dovuto al fatto che attraverso la pianificazione della strage il soggetto ha trovato una via d’uscita al suo stato di disagio.
di Fabio Sanvitale