di Daniele Spisso direzione@calasandra.it
36 anni di piste trascurate e di processi a carico di un innocente. Questo è il tragico bilancio di un caso di cronaca nera spaventoso che sconvolse l’Italia a metà anni ’70 e che è stato caratterizzato da una delle indagini più disastrose condotte nel nostro Paese. Oggi è finito nel dimenticatoio ma è necessario e importante riportare l’attenzione di tutti su questa vicenda, perché c’è un assassino che è rimasto impunito e perché al posto suo ha pagato una persona perbene che non c’entrava nulla, l’avvocato Domenico Zarrelli.
Uno spaventoso triplice omicidio verificatosi in un elegante appartamento di Napoli la sera del 29 ottobre 1975, tragicamente rimasto noto come la strage di via Caravaggio. Quella sera, intorno alle 23:30, in un appartamento al quarto piano del palazzo al numero 78 di via Caravaggio entra qualcuno. Il padrone di casa, Domenico Santangelo, deve conoscere bene il suo ospite: interrompe la cena che ha in corso in cucina con la moglie, Gemma Cenname (sposata in seconde nozze), e lo riceve nello studio nonostante l’ora tarda e insolita.
All’ospite viene offerto un bicchiere di brandy e inizia una discussione. Sembra una visita come tante ma non è così: durante la discussione succede qualcosa, forse un litigio improvviso, una offesa di troppo, un ricatto insopportabile. L’ospite perde la testa e si trasforma in una belva furiosa, in un mostro: afferra un corpo contundente (individuato per caso nel salotto) e aggredisce Domenico Santangelo, colpendolo alla testa in modo violento. La sua furia non risparmia neanche Dick, un cagnolino yorkshire di proprietà dei Santangelo che in quel momento è vicino al suo padrone. L’aggressore afferra la bestiola e la soffoca con qualcosa di morbido, forse un cuscino dell’arredamento della stanza.
Il mostro di via Caravaggio esce dalla stanza e va in cerca di altri testimoni da dover eliminare: in cucina, aggredisce e colpisce allo stesso modo Gemma Cenname. E’ in questo stesso istante che si affaccia nel corridoio Angela, la figlia diciannovenne di Domenico Santangelo (la ragazza era in camera sua, in pigiama, a letto per qualche linea di febbre). Angela si rende conto di cosa sta succedendo e spaventata cerca di scappare raggiungendo la stanza più vicina, la camera da letto matrimoniale di suo padre e della sua matrigna. Purtroppo non ce la fa: l’aggressore la raggiunge subito, la blocca sulla porta d’ingresso della stanza e la colpisce alla testa con lo stesso corpo contundente (con una violenza tale da ucciderla subito, per dissanguamento).
La sequenza degli orrori è appena iniziata: l’assassino torna in cucina e afferra un coltello. Si dirige ancora in salotto e, coprendosi con un cuscino, sgozza Domenico Santangelo (fino ad allora solo tramortito) con un solo colpo; si reca nuovamente in cucina e assesta sei colpi da punta e taglio al collo di Gemma Cenname (fino ad allora solo tramortita); conclude la sua strage nella camera da letto dei due coniugi, dove assesta cinque colpi da punta e taglio al collo di Angela (già morta) e poi altri due colpi da punta e taglio nella zona epigastrica del suo corpo privo di vita. Durante tutta l’azione, l’assassino fa molto rumore nell’appartamento. Nel sangue delle sue vittime, sul pavimento, lascia tracce di impronte di scarpa (numero 42) e in giro per casa lascia anche mozziconi di sigarette (marca Gitanes, senza filtro).
Forse il nostro assassino porta anche occhiali da vista, rimasti danneggiati durante il massacro, come dimostrano alcuni frammenti di vetro (compatibili con una lente da vista) trovati vicino al tappeto del salotto, mai presi in considerazione dagli inquirenti dell’epoca. Il mostro di via Caravaggio non è ancora soddisfatto del suo lavoro: torna in cucina e infila alle mani un paio di guanti di gomma. In salotto, prende il povero cagnolino Dick privo di vita e lo sposta nel bagno di casa, adagiandolo dentro la vasca. Ritorna ancora una volta in salotto e afferra il cadavere di Domenico Santangelo: comincia a trascinarlo lungo il corridoio, provocando una lunga scia di sangue (come una sottile sottolineatura) che attraversa il corridoio fino al bagno. Qui, solleva il cadavere dell’uomo e lo adagia nella vasca, sopra il cagnolino Dick. Stessa sorte anche per Gemma Cenname, che viene trascinata dalla cucina al bagno con un pleid trovato in cucina e che provoca una macchia di sangue di forma ampia e spessa lungo il tragitto, paragonabile ad una pennellata. I suoi orrori cessano con Angela: la povera ragazza viene sollevata e sistemata sul letto matrimoniale dei suoi genitori, nascosta sotto lenzuola e coperte. L’assassino si reca nella camera personale di Angela: prende la sua borsa e ne sparge il contenuto intorno. E’ probabilmente in cerca di qualcosa, difatti si appropria del diario personale della ragazza e lo trafuga.
Prima di fuggire, il mostro di via Caravaggio abbandona i guanti da cucina e lascia impronte di mani insanguinate sul davanzale della finestra del soggiorno. Forse per controllare in strada quello che succede. Alle 5 del mattino l’assassino stacca il contatore dell’appartamento ed esce, lasciandosi alle sue spalle una porta chiusa e quattro cadaveri massacrati in modo feroce. Muovendosi con una tranquillità inquietante: come se conoscesse benissimo il suo “territorio d’azione” (le abitudini dei residenti della zona, i movimenti d’auto lungo quella strada, l’orario di chiusura dei locali di quella zona. Come “Il rifugio”, ad esempio; un rinomato e affollato pub la cui ubicazione era a pochi passi dal palazzo del massacro, vicino al garage condominiale di via Caravaggio 78. Garage sul quale si affacciava la finestra trovata macchiata di sangue sul davanzale). Chi è stato? Chi ha potuto compiere un massacro del genere in maniera tanto indisturbata e tranquilla?Dopo 36 anni quasi più nessuno se lo chiede e gli investigatori si sono completamente disinteressati al caso. Non dovrebbe essere così: ci sono tre vittime che sono ancora in attesa di giustizia e c’è un innocente che per troppi anni ha pagato al posto del vero assassino. Ci sono tre persone che 36 anni fa, quella sera di autunno del 29 ottobre 1975, sono state uccise in modo spaventoso in quell’appartamento al quarto piano di via Caravaggio numero 78.
Oggi, nell’epoca delle tecnologie scientifiche e della prova del DNA, è possibile sicuramente fare un tentativo per cercare il profilo genetico dell’assassino sui reperti conservati (la bottiglia di brandy, i mozziconi di sigaretta, i guanti da cucina, l’impronta di scarpa, i frammenti di vetro provenienti probabilmente da occhiali per la vista) e confrontarlo con quello dei potenziali sospettati dell’epoca mai presi in considerazione. Sono forse in pochi a sapere, infatti, che all’epoca del massacro due nominativi entrarono in particolar modo nelle attenzioni degli inquirenti: una pista collegata a motivi d’affari e una pista (più privilegiata e sorretta da indizi pesanti) collegata a motivi passionali, privati. La prima porta a Gemma Cenname (la donna affittò un capannone di sua proprietà ad un pregiudicato calabrese coinvolto in storie di droga, spacciatosi per un ingegnere chimico); l’altra ad Angela, la ragazza (girarono voci su un medico, un superiore di lavoro di Angela che abitava a non molta distanza da casa dei Santangelo).Due piste collegate quindi ad altrettante persone che erano entrate nella vita privata dei Santangelo.La verità si nasconde tra una di queste due persone? Sarà possibile riaprire e risolvere questo caso dopo 36 anni?
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