di Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it
3 giugno 2013
Sta arrivando ad una svolta il caso della morte della piccola Matilda, dopo un clamoroso errore giudiziario. I fatti: siamo a Roasio, 2.500 abitanti, provincia di Biella. Pomeriggio del 2 luglio 2005. In casa, Elena Romani ed il suo uomo, Antonio Cangialosi, dormono sul divano; mentre la figlia di lei, Matilda, di 22 mesi, dorme sul letto matrimoniale. La bambina, però, si sveglia ed ha una delle sue crisi di vomito. Non è la prima volta che succede e non c’è dubbio che sia la reazione alla presenza di Cangialosi, con cui non si è mai presa per niente da quando, sette mesi prima, lui e la madre avevano iniziato una storia. Spesso, quando lo vede, si rifugia tra le braccia della mamma.
Sono le 16.15. La Romani accorre, pulisce il letto, porta in bagno la bambina. Cinque minuti dopo arriva Cangialosi. Quindi, la donna esce a stendere le federe. Matilda resta con l’uomo, che le farà vedere i Tre Porcellini. Mentre la Romani sta rientrando, un grido: la figlia è in braccio a Cangialosi, pallida, inerte. Morirà alle 17.40, senza aver ripreso conoscenza. Cos’è successo? Lui dice che, mentre, stava mettendo il dvd, ha perso di vista per un attimo la bambina e l’ha ritrovata riversa sul divano. Lei non capisce, aspetta l’autopsia. Dev’essere stato un malore, una caduta, forse è colpa dei soccorsi.
L’autopsia rivela invece un “grave shock emorragico causato da un gravissimo trauma addominale, con multiple lacerazioni del fegato e del rene destro”. E’ successa una cosa terribile: qualcuno ha dato un fortissimo calcio a Matilda, alla schiena, e soprattutto, ha tenuto premuta la scarpa, con cattiveria, per quei pochi secondi necessari a fare uno sfacelo. Ma chi è stato? Un estraneo è escluso. Nessuna zanzariera è divelta. E l’eventuale estraneo sarebbe dovuto passare davanti al divano, per compiere poi un delitto senza senso.
E’ stata lei, nei cinque minuti in cui è stata da sola con la figlia? E’ stato lui, nei tre minuti in cui lei era fuori? Vengono indagati entrambi. Progettavano di vivere insieme, ma l’ostacolo era rappresentato proprio da Matilda, dalle sue reazioni: tutto dipendeva da lei. Il 14 luglio viene fermata la Romani. Nel garage della sua casa di Legnano ci sono scarpe la cui forma si adatta alla lesione di Matilda. Cangialosi, inoltre, dice che la piccola aveva già le labbra bianche, quando lui si è alzato. Infine, nelle intercettazioni la Romani si autoaccusa. Si sente male, ma ci sono frasi come: “non posso pagare per una cosa che non volevo fare…la mammina ti ha fatto male…sono stata io…amore, ti ho dato le botte…e dirò: son tanto pentita”. Tutto a posto? No. Manca un dettaglio, la Romani è disperata, ma non confessa. Anzi, dice che è stato Cangialosi.
Elena Romani sarà assolta in assise nel 2007, in appello nel 2009, la Cassazione conferma nel 2011. La Corte d’Appello di Torino è chiarissima: non può essere stato altri che Cangialosi, indagate su di lui. E, con i suoi periti, spiega come sono andate le cose. Possiamo quasi vederlo. Matilda è sul divano, scende volgendo la schiena all’uomo. Vuole gattonare via da lui, ma per Cangialosi diventa la prova del fallimento di quella relazione. E’ troppo. Ha un gesto furioso, di scatto. Vuole immobilizzarla con un piede, intimidirla, ma usa una forza spropositata. Si ritrova la bambina morta, sul pavimento. L’uomo era “un individuo naturalmente aggressivo e violento, orgoglioso della propria prestanza fisica”, che lavorava come addetto alla sicurezza.
Rivediamo allora le prove contro la Romani insieme al suo legale, l’avvocato Tiberio Massironi. La famosa scarpa: è un tacco 10. “Non si capisce come la Romani, appena alzatasi dal divano e colpendo d’istinto la figlia, dovesse farlo indossando non solo una scarpa (perché non un altro oggetto?), ma proprio quella”, dice Massironi. Lo stesso Cangialosi ammetterà che la donna indossava, quel pomeriggio, dei sandali aperti; e nessuno ha visto altre scarpe nel suo trolley. D’altronde, per stare qualche giorno a Roasio non le serviva un tacco 10…
Le labbra bianche: se era già stata colpita, perché Matilda non strillava? Per il Pm era in preda a stupore dissociativo, un tipo di shock in cui si è momentaneamente insensibili al dolore, in un totale annebbiamento della coscienza, indifferenza all’ambiente, immobilità. Perfetto, per leggere tutto in chiave colpevolista… La madre le ha messo subito una canottiera? Per coprire l’ecchimosi! Ha acconsentito alla cremazione? Per nascondere le tracce, certo! Ma se Matilda fosse stata colpita subito, Cangialosi ne avrebbe dovuto notare anche il pallore, la sudorazione fredda, il polso rallentato, il respiro affannoso…
Le intercettazioni: ascoltate con tecnologie migliori, dimostrarono che, dopo “ti avrei dato le botte?”, immaginando di parlare con Matilda, la Romani risponde “mai, mai”. A sentire meglio dice “forse è colpa di Antonio…non posso pagare per una cosa che non ho fatto (e non “che non volevo fare”). A sentire meglio dice: “ti ho dato le botte?” (col punto interrogativo). Ed il “son tanto pentita” significa: di averti messa in mano a lui.
Sembra incredibile, ma tutto questo è successo. “Oggi come oggi è stato revocato il proscioglimento di Cangialosi e le indagini sulla morte di Matilda sono riprese da un paio di mesi. I giudici che condussero l’inchiesta s’erano innamorati della tesi della madre colpevole, a tutti i costi” dice Massironi. Com’è stato possibile? “Ci fu pregiudizio. E’ che ci siamo accavallati con Cogne (nel 2004 si era appena concluso il primo processo, Nda). E la Procura non ha voluto replicare lo stesso errore di lasciar libera la Franzoni. Noi dicevamo che dovevano andare a processo tutti e due, ma Vercelli non era lontana da Aosta… La Romani fu puntata subito, dal primissimo interrogatorio. Lei pensava di ricevere notizie sull’autopsia, invece scoprì che era accusata di omicidio. E poi la interrogarono quattro sostituti procuratori, non uno!”. Ed alla fine è stata dentro cinque mesi. Il sorriso di Matilda riuscirà ad avere giustizia?
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