Ma Andrea Ghira è morto davvero? Tra un mese lo sapremo

Ma  Andrea Ghira è morto davvero? Lui è stato uno dei colpevoli del massacro del Circeo, quelle 24 ore orribili che nel 1975 videro lui e suoi amici Angelo Izzo e Gianni Guido sequestrare e picchiare Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. Poi Donatella e Rosaria furono riportate a casa. In un bagagliaio, nude e insanguinate. Solo che Donatella era viva, anche se per salvarsi s’era finta morta. Rosaria, invece, era stata prima violentata e poi affogata nella vasca da bagno. Poi, i tre massacratori furono arrestati e condannati. Tranne Ghira, che scappò la mattina dopo il delitto.

E qui sta il punto. Perché Ghira fu ritrovato nel 1995: stava in una tomba a Melilla, enclave spagnola in Marocco. Era lì dall’anno prima, nella parte del cimitero riservata agli uomini del Tercio, la legione straniera spagnola. Il nome sulla tomba diceva: Maximo Testa De Andres. Una perizia genetica stabilì che Testa era proprio lui, Ghira. Si disse che era morto per overdose. Ma c’erano tre dubbi, belli grossi: uno era che la perizia identificativa era stata svolta da Carla Vecchiotti, una brava genetista dell’Istituto di Medicina Legale di Roma, ma anche allieva della zia di Ghira stesso. Il secondo è che era stata effettuata con la tecnologia dell’epoca e quindi sul dna mitocondriale, che al massimo può stabilire se il morto appartiene alla famiglia Ghira, ma non chi sia di quella famiglia. E a Melilla c’era anche William, un cugino di Ghira che stava nel Tercio anche lui…

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Il terzo è che, se dai documenti ufficiali del Tercio Ghira risulta morto il 9 settembre 1994, è sempre rimasta misteriosa quella telefonata di due mesi dopo in cui suo fratello Paolo e un amico ne parlano come se fosse vivo e in Argentina; così come, intercettata nei mesi successivi alla presunta morte, la madre di Ghira non sembrava affatto addolorata.

Se c’è uno che è stato testardo, in questa storia, beh, quello è l’avvocato Stefano Chiriatti, che rappresenta la famiglia Lopez. Ha insistito e insistito con la Procura finché non li ha convinti che quell’indagine genetica andava rifatta. E la Procura è stata a sentire. Nelle scorse settimane tre professionisti di serie A sono andati in quel piccolo cimitero tra i palazzi sul cui ingresso è scritto: “Cementerio Municipal de la Purisima Concepcion” e hanno riesumato il cadavere di Maximo Testa. Sono Giovanni Arcudi, uno dei migliori medici legali italiani, Gaetano Novelli, genetista di alto livello, e Marina Baldi, altra genetista di grande preparazione. A loro la risposta.

Andrea Ghira era un bamboccione di famiglia ricca (costruttori) fino a quando non fu picchiato in uno scontro tra fascisti e comunisti. Erano gli anni Settanta, era Roma, erano anni violenti. La sua risposta fu chiudersi per mesi in palestra. Ne uscì bello grosso e bello cattivo. E più fascista di prima. Quell’ideologia nera di cui spesso era naturale fare parte, in un ambiente come il suo, divenne il suo vuoto nutrimento: per difendersi dal comunismo, per solidarietà di gruppo, per visione elitaria dell’esistenza, per sbocco di violenza. In molti mi hanno raccontato di lui, di quando andava al Giulio Cesare, dell’ambiente che frequentava.

Fino agli ultimi giorni della sua vita Donatella Colasanti ha sempre sostenuto che Ghira non era morto e che, altro che estero!, andava e veniva da Roma. Diversi dissero di aver visto in città uno che gli assomigliava, finché gli investigatori non notarono che sua madre, che l’aveva sempre difeso, andava ogni santo mese a farsi uno strano viaggetto a Spoleto. Per andare a telefonare in Argentina, appunto, da un telefono sicuro, quello di un’amica. Strano, vero? Poi, nel 2005, la Polizia arrivò a quella tomba nel cimitero di Melilla.

Dal cimitero di Melilla è stato estratto – nelle scorse settimane – un cadavere che era stato avvolto, dopo la vecchia esumazione, in una coperta verde. Cadavere è una parola grossa: c’era rimasto poco. Un teschio e un mucchio di ossa. Quanto è bastato, però, per prelevare frammenti di femore, denti, una vertebra: tutto quello che servirà per capire, stavolta col dna nucleare, se davvero Maximo Testa è Ghira oppure no.

Ma…un momento. C’è anche un’altra cosa che stava insieme alla coperta e alle ossa: una siringa di plastica. C’era anche quando ci fu la riesumazione del 1995 e fin da allora rappresenta una delle cose strane di questa storia. Maximo Testa, dicono al Tercio, morì di overdose. Va bene, ma perché mettergli nella bara, così platealmente, quella siringa? E’ una delle cose che ad oggi non ha trovato risposta.

Per sapere se Testa e Ghira sono la stessa persona o no, invece, ci vorrà solo un mese.

di Fabio Sanvitale