di Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it
10 gennaio 2013
Puoi chiamarlo deep web, deepnet, undernet, invisible net. Il mondo web invisibile è di fronte a te, ma nascosto. Forse non sai nemmeno che esiste. Quelli che lo sanno ne parlano duramente; altri lo difendono a spada tratta. I normali motori di ricerca non funzionano laggiù e i governi fanno fatica a muovercisi. Corre voce che droga, armi, documenti falsi, killer a pagamento e pedopornografia vi regnino a tutto spiano. Che i dissidenti lo usino per parlare senza rischiare la vita e che tuteli le libertà civili. Sarà vero?
Da dove nasce questo mondo sotterraneo? Dalla constatazione che nessuno ne sa – di te e di quello che fai online – più del tuo provider (cioè di chi ti fornisce il servizio Internet) e del tuo browser (cioè del programma che ti fa andare in Internet). Che sia Tiscali, Telecom o chiunque altro; che sia Chrome, Mozilla o Safari, ogni pagina vista, ogni file scaricato resta impresso nei loro dati. Quello che molti non sanno (o di cui non gli frega nulla) è che altre società, sui siti che visiti, prelevano informazioni su ciò che vedi (e quando e quanto lo vedi), cioè sulle tue abitudini di consumatore. In tempo reale e per ragioni di marketing, la grande scienza che domina il mondo. Il deep web è la risposta a tutto questo; e molto altro.
All’inizio nacque per scopi militari. Fu un’idea dei soliti americani, anzi della Marina statunitense (ancora meglio: dello Us Naval Research Laboratory, nel 1996). Era un modo per consentire la trasmissione di dati e materiali segreti. Tuttavia, molti anni dopo, l’uso fu lasciato libero anche ai civili. Curiosa questa generosità, vero? Scoprirai anche il perché, nel corso di questa inchiesta.
E’ così, fu il deep web a uso civile. Una rete di computers di normali utilizzatori come te, collegati, però, l’uno all’altro in modo particolare. Tanto particolare da essere invisibile a Google. Obiettivo: navigare senza essere tracciati. Cioè con un altro IP (l’IP è l’indirizzo internet che identifica il tuo pc, come il numero della tua carta d’identità).
Quando poi Edward Snowden, a giugno del 2013, ha cominciato a spiegare al mondo quanto la NSA (National Security Agency) americana abbia per anni spiato dai comuni cittadini ai capi di Stato, è stato il botto. I grafici che mostrano il numero di utilizzatori – in particolare negli Stati Uniti – si sono impennati, passando dai 160.000 utenti medi a più di 560.000. Ed anche mentre leggi queste righe, sono tantissimi gli uomini e donne che navigano nel deep web per non essere spiati da nessuno. E in Italia? L’impennata del grafico è ancora più pazzesca. Passiamo dai circa 50.000 utenti dei primi di agosto scorso ai 250.000 di settembre, oggi assestati su una cifra di circa 150.000, che comunque vuol dire triplicati. E lo usano anche in Vaticano! Qui si tratta di poche decine di persone, ma è significativo che nell’era del dopo-Snowden anche nello stato del Papa ci sia una crescita degli utilizzatori. Insomma, il deep web è un vero muro di cinta della libertà informatica. E quindi: della libertà tout court.
Ma vediamo come funziona, come si fa a non lasciare tracce. Supponiamo che tu, l’utente A, vuoi connetterti al sito B. Il flusso di dati da A a B (cioè la tua richiesta di connessione e il tuo IP) e quelli di ritorno da B a A (i dati che hai richiesto, cioè la pagina che vuoi vedere) non viaggiano direttamente tra il client, cioè te, ed il server, cioè il sito che vuoi visitare: ma vengono filtrati attraverso altri nodi di rete (cioè grandi computer) che creano una connessione crittografata a strati. Mi spiego meglio.
Innanzitutto, tra client e server ci sono in media 6 nodi intermedi. Il primo nodo, quello che ti fa entrare nel deep web, è l’entry node. Una volta superato questo ingresso, i tuoi dati viaggiano verso il nodo successivo e sono ri-crittografati di nuovo e quindi inviati al nodo numero 3. Qui, nuova crittografazione. E tutto questo secondo un percorso completamente casuale di assegnazioni dei nodi. Talmente casuale che ogni volta che digiti una query nuova (cioè: fai una nuova ricerca), il deep web per soddisfarla seguirà un path (cioè: un percorso) diverso. A questo punto è chiaro che B non può sapere chi sia quell’A che gli sta chiedendo i dati. E che tu, A, non puoi lasciar tracce della richiesta fatta a B.
Quando B ti manda indietro i dati che gli hai chiesto, tutto si svolge al contrario: il nodo numero due rimuove uno strato di crittografia e invia ad un altro nodo, il tre, che non sa da chi sta ricevendo quei dati e rimuove un altro strato; poi li inoltra al numero quattro, sempre casualmente, e così via…fino all’entry node da cui tutto è iniziato, che – lui sì – sa chi è il destinatario, il “famoso” A. Tu.
Ora, quando i siti che visiti ti registreranno, per loro sarai magari un utente che si connette da Bogotà piuttosto che da Detroit. Dipende da dove casualmente si trovava l’ultimo nodo di rete prima di B. Di sicuro non sarai tu, col tuo IP, da casa tua. E anche se qualcuno osserva ogni singolo nodo intermedio del flusso, non potrà sapere verso dove procederanno i dati che stanno passando. E tutto questo traffico è al di fuori di Google: qui i signori di Mountain View non possono nulla. Quello che visiti è affar tuo, finalmente. Già, ma cosa visiti?
Con questo sistema non solo puoi navigare sulla clearnet, cioè i siti “in chiaro”, quelli che ogni giorno trovi tramite Google. Puoi navigare anche su un altro Web, che con Google non troverai mai. Ed è lì che ti voglio portare. Nel deep web ci sono più reti nascoste. Le chiamano darknet e non è un caso. Se il deep web è il web non indicizzato dai motori di ricerca, la darknet è una rete i cui contenuti – cioè siti, forum, blog – non sono enumerabili. Tradotto in italiano vuol dire che quei contenuti li raggiungi solo se conosci il loro indirizzo da prima di cominciare, perché – appunto – nessun motore di ricerca li conosce. Insomma, una community chiusa e privata. E le darknet stanno nel deep web. Ok, fin qui? (CONTINUA…)
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