Yara: Bossetti aveva altri coltelli, ma la Procura gioca sporco per incastrarlo.

Lei che gli chiede piano: “ma non è che ne hai altri?“, lui che dice di buttarli via. E’ un pezzetto del colloquio tra Bossetti e la moglie, intercettato in carcere a Bergamo (nella foto sotto) e il cui video è stato diffuso ieri da La Stampa (lo vedete qui). Un colloquio che ha dell’inquietante, se pensiamo che stanno parlando di coltellini. I due trovati dai carabinieri nelle perquisizioni e gli altri due, soprattutto, non trovati dai militari, ma che Marita invece ha scoperto in una scatola rossa. E’ lei che va a colloquio col marito e gli chiede: “che ci devo fare? Ce li ho qui“. E’ proprio di questo, che vogliamo parlarvi oggi.

Premesso che stando alla perizia medico legale un coltellino è arma compatibile col delitto di Yara, ovviamente ci interessa sapere quanti ne possedesse Bossetti in casa. Ci interessa sapere se uno di quelli è più compatibile di altri, anche se “compatibile” non è un termime che esprime una certezza. Ma, vedete, non è nemmeno questo il punto. Noi di CN, lo avete capito, abbiamo una posizione colpevolista nei confronti di Bossetti. Ma una cosa non ci torna, oggi: scusate, ma questo video dell’intercettazione in carcere, ai colleghi de La Stampa, chi gliel’ha passato? Facile la risposta: la Procura, e chi sennò? Ed è questo, il punto.

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Mi spaventa molto vivere in un presunto stato di diritto dove i diritti non ci sono. L’istruttoria sulla morte di Yara è monumentale, contiene  60.000 documenti, scrive il nostro collega nel suo articolo (anche quella sulla morte di Wilma Montesi lo era, nel 1953: lo chiamarono il “processo del secolo”. Furono tutti assolti. Diecimila pagine non sono sinonimo di verità), e poi i coltellini (il nostro collega riferisce la risposta di Bossetti come se fosse una confessione, ma se già mi accusano ho tutto l’interesse a non regalare, in ogni caso, prove al Pm), eppoi eppoi… Ma eppoi che? Su 60.000 documenti (diffusi agli avvocati, per legge, non alla stampa), se trovi un video fico è perchè te lo segnalano. Vi chiedo: diffondere proprio quel video a chi serve? Serve alla Procura, per alimentare un clima colpevolista verso l’imputato già da prima del processo. Serve ad influenzare, di fatto, la Corte d’Assise che lo giudicherà, e soprattutto i suoi giudici popolari, quelli che sono scevri dai cavilli e dai sofismi del diritto. Gente come voi, che apre Facebook, che guarda la tv e finisce con l’essere influenzata da notizie come queste. E questo non ci piace. No.

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I giornalisti, per definizione, pubblicano le notizie che ricevono: ma è anche una bella scusa per sentirsi esentati dai doveri morali che ne derivano. Pubblicare quel frammento video significa aiutare la Procura a pestare l’imputato Bossetti Giuseppe Massimo. Che per chi scrive è l’assassino, intendiamoci, ma che chi scrive vuole che abbia un processo regolare: che inizia il 3 luglio, non il 13 maggio. C’è un enorme differenza. Non so se quei coltellini trovati da Marita abbiano o non abbiano a che fare col delitto. Quello che so è quel frammento video getta il sospetto su Bossetti: mostra indizi e non prove. E’ una notizia, questa? E’ una notizia, sì, ma cui prodest? La risposta ve l’ho data. Se questo è un gioco, in Procura stanno barando, a questa mano. Oggi tocca a Bossetti Giuseppe Massimo, domani a uno di noi.

Questo non è uno stato di diritto: ma uno stato in cui il diritto viene piegato alle esigenze del caso. E ci stupiamo se quello che ha trovato Melania Rea ha fatto una telefonata anonima da una cabina? Sapete che vi dico? Io sono un giornalista di nera. Io non vorrei mai essere imputato in un processo. E’ come certe operazioni chirurgiche: sai come entri, ma non sai assolutamente come esci. Solo che stanno operando te.

di Fabio Sanvitale

  • Remo

    Alleluia, ogni tanto un barlume di deontologia giornalistica,